24 luglio 2007

Brindiamo con Fiumani

"Scrivo questo libro per avere un po' di successo. Un successo circoscritto ma caloroso, underground. Aria malsana delle cantine dove ti vergogni di passare la tua vita ma dove (e solo lì) ti senti nella tua dimensione ideale."

Federico Fiumani, cantante e chitarrista dei Diaframma, è uno dei pochi veri personaggi di culto rimasti in Italia. Testardamente ha portato avanti per quasi un quarto di secolo un percorso artistico difficile, fatto di auto-produzione, di poca o nessuna promozione, di tantissimi concerti in piccoli locali, e di pochi riconoscimenti, se si esclude il costante affetto dei sostenitori.

L'amore per il punk "marcio e sporco", aneddoti e pettegolezzi sulla Firenze new wave dei primi anni '80, commenti e punti di vista su alcuni artisti italiani, l'amore per le donne, il sesso, il trauma per la morte del padre. Questi i filoni principali toccati da Fiumani in questa autobiografia molto
sui generis. Il volume si snoda come una successione di narrazioni e riflessioni priva di un ordine temporale e di raggruppamenti o suddivisioni di qualche tipo. Una formula che facilita il senso di intimità che il libro instaura tra autore e lettore, anche tramite rivelazioni molto personali su episodi che in genere si tengono fuori dalla biografia di un musicista, o che altri avrebbero ammantato con un alone di mistero, di epico che potesse elevare il personaggio a uomo fuori dal comune.

E invece Federico è un uomo normalissimo, e in questo Brindando coi Demoni lo conferma spiattellando vizi, difetti, ed anche qualche cattiveria, con una sincerità (apparente?) che disarma. Chi è abituato ai testi delle canzoni di Fiumani non si stupirà dello stile del volume, anzi ne godrà parecchio. Soprattutto notando il notevole passo in avanti dal precedente
Dov'eri tu nel '77? che risultava più frammentario e meno solido.

Agli altri consiglio la lettura del libro, ma anche di dare un ascolto ai dischi. Cose come Siberia e Tre Volte Lacrime hanno fatto la storia degli anni '80 italiani. Ma si trovano belle cose anche dopo: Anni Luce, Sesso e Violenza, I Giorni dell'Ira, Volume 13, per citare solo qualche titolo. "Quando parte il mio stereo con la musica che mi va di sentire mi sembra che la vita cominci, che ci sia ancora speranza".

23 luglio 2007

Buddhismo Stick

Vi dico subito, onde evitare che sviluppiate inutilmente una irrefrenabile compulsione all'acquisto, che il CD di cui sto per parlarvi è sostanzialmente introvabile. L'ultima copia in circolazione l'ho probabilmente acquistata io, per la esorbitante cifra di 3 euri in un negozio di usati. Posso dunque finalmente vantarmi di possedere una delle 2000 copie esistenti, il che mi dà una certa soddisfazione.

Il disco si chiama Inaudito ed è attribuito ai Buddha Stick, collettivo capitanato da Sergio Messina alias RadioGladio. Un personaggio forse non particolarmente noto ai più, ma di tutto rispetto e di chiara fama all'interno della cosiddetta "scena musicale italiana": un paesaggio piuttosto desolato ma punteggiato qua e là da figure come questa, che fanno un sano sforzo per tirare un po' su la media nazionale.

Sergio Messina creò RadioGladio nel 1990 per la realizzazione di una omonima cassettina autoprodotta, contenente un brano dedicato allo scandalo Gladio. La cassetta fece scalpore (ma neanche un centesimo di proventi, essendo assolutamente no copyright e liberamente copiabile) e un tale Frank Zappa dichiarò che si trattava di una "dimostrazione di come la musica possa servire ad aprire gli occhi alla gente".

Se volete saperne di più su RadioGladio, il punto di partenza è certamente questo:
http://www.radiogladio.it/

Buddha Stick altro non è se non una diversa incarnazione di RadioGladio nata nel 1996. Pur partecipando al progetto altri musicisti, infatti, la scrittura dei brani, la direzione artistica e la produzione di Inaudito sono dovute al solo Messina.

Cos'ha di tanto particolare quest'album, oltre alla rarità?
Per prima cosa, è un disco intelligente. So di usare un aggettivo abusato e spesso applicato a sproposito, ma è proprio questa l'impressione al primo ascolto (ed anche ai successivi, in verità): c'è un cervello in movimento dietro questi brani, e i messaggi trasmessi non sono messi lì a caso.

Il vocabolo più adatto a riassumere il senso del progetto è "libertà". I brani sono legati da un filo conduttore ben visibile: affermano un desiderio di libertà e indipendenza, istanze quotidianamente frustrate nella vita contemporanea.
Nonostante siano espliciti alcuni riferimenti alla cronaca (un brano ad esempio è dedicato al processo per la strage di Piazza Fontana) il disco è decisamente senza tempo, e sembra pericolosamente attuale nel 2007 come lo era nel '96 e come lo sarebbe stato anche nell'86. In una certa ottica, l'Italia è un paese immobile, e l'ascolto di questo album non fa che confermarlo.

Dal punto di vista musicale il disco è la somma di 12 bozzetti di varia ispirazione, splendidamente realizzati e accomunati dalla capacità di creare ambienti sonori di grande fascinazione, nei quali è facile immergersi e lasciarsi trasportare.
I testi non voglio raccontarli: spero di aver suscitato sufficiente curiosità.

Lascio per ultima la vera buona notizia, piccolo premio per chi mi avesse seguito fino a qui: Inaudito può essere liberamente scaricato, compreso di copertina. Lo trovate qui:
http://buddhastick.enemy.org/
L'album è no copyright e può essere tranquillamente scaricato e stampato senza infrangere alcuna legge. Inoltre, per lo stesso motivo, può essere copiato e regalato agli amici. Il che sarebbe davvero una buona idea.


18 luglio 2007

subHuman: electric blues from Alan Wilder.

Ben 7 anni si è fatto attendere Alan Wilder prima di dar seguito al progetto Recoil, avventura solista inaugurata ai tempi in cui ancora militava nei Depeche Mode e poi portata avanti con successo nella seconda metà degli anni '90 con un paio di ottimi album.
L'ho aspettato a lungo questo disco, e quando ho scoperto che stava per essere distribuito ho assaporato un "piacere dell'attesa" che, devo confessare, non provavo più da un po' di tempo. Sarà per questo che quando finalmente l'ho posseduto ed ascoltato, sono rimasto un po' deluso.

E' vero che il prodotto supera di gran lunga la media delle uscite di quest'anno, e sviluppa con coerenza in 7 lunghi brani un discorso già avviato dal musicista britannico nelle opere precedenti. Non lo sviluppa però nella direzione che mi aspettavo, e che avrei preferito. Il disco, pur intenso ed avvolgente, difetta infatti della stupefacente ampiezza cromatica che aveva caratterizzato i suoi due predecessori (Unsound Methods, del 1997, e Liquid, del 2000). Accantonate le scelte più marcatamente trip-hop e le trame più sperimentali, Wilder costruisce con quest'album un efficace mantra blues che tende all'effetto ipnotico più che a quello drammatico ed inquieto che segnava le due opere di fine secolo.

Complice nella costruzione di una atmosfera calda, intensa, ma a tratti un po' monotona, è la scelta delle voci che popolano l'album. Stavolta, anzichè circondarsi di un gran numero di comprimari come nelle due prove precedenti (6 voci si alternano al microfono in Unsound Methods, 5 voci più un quartetto in Liquid), Wilder preferisce affidarsi a due soli interpreti, rinunciando al carattere babelico dei lavori precedenti.
Joe Richardson, grande bluesman americano, interpreta la maggior parte dei brani; Carla Trevaskis, cantante anglosassone che ricorda molto la Kate Bush più eterea, presta la voce solista in due occasioni e appare qua e là in secondo piano.
Le pur bellissime voci (sicuramente di grandissimo valore la prova di Richardson, forse meno convincente Trevaskis che mostra una minore varietà di stile) contribuiscono ad appiattire la sostanza sonora, laddove si desidererebbe qualche spigolo in più.

E' evidente che Wilder abbia cercato in questo disco di accentuare le componenti più blues e a tratti jazz del suo lavoro; e lo ha fatto con la perizia che ci si attende da uno come lui, sia nelle partiture musicali che negli arrangiamenti, tutti di altissima scuola.
Peccato solo per una certa mancanza di coraggio, o forse per la raggiunta "serenità artistica" che ha smussato l'inquietudine e la controllata schizofrenia che si poteva avvertire finora nel progetto Recoil.

Non per questo il disco non risulta godibile, o merita di essere sconsigliato. Piacerà soprattutto a chi ama le belle voci, le atmosfere avvolgenti, il calore del blues. Un po' meno forse agli amanti dell'elettronica.

Una curiosità: Alan non resiste stavolta alla tentazione di citare i Depeche Mode, cosa che non faceva dall'ep Hydrology, pubblicato però quando ancora era parte del fortunato quartetto. Un campione di un brano di Songs of Faith and Devotion si può facilmente riconoscere in almeno due momenti del disco. Quali? Scopritelo, mica posso dirvi tutto!

16 luglio 2007

Addio al bollino?

In Italia ci sono due linee di pensiero in merito al bollino SIAE.
In primis ci sono quelli che lo odiano perché deturpa i supporti sui quali è incollato. A questi si contrappone la più ridotta schiera di quanti invece lo odiano perché sono costretti dalla legge ad applicarlo ai propri supporti CD/DVD da mettere in vendita.

Per tutti coloro che dovessero appartenere alla terza categoria (ossia quelli che non sanno cosa sia il bollino SIAE), potrebbe essere utile dare una scorsa alla pagina informativa sul
contrassegno, disponibile sul sito della SIAE medesima:

http://www.siae.it/utilizzaopere.asp?link_page=contrassegni_bollino.htm

Non vorrei dare l'impressione di essere tra coloro che non danno peso al problema della pirateria. Onde evitare fraintendimenti, specifico subito che considero la pirateria (quella vera, ossia la duplicazione e messa in vendita di copie contraffatte) un danno piuttosto serio per l'industria e per gli artisti.

Ciò detto, il problema di fondo sta nel fatto che il bollino in questione, pensato come "strumento di autenticazione e di garanzia, ad uso sia delle Forze dell’Ordine che del consumatore" al fine di poter "distinguere il prodotto legittimo da quello pirata", ha effetti spesso dannosi su chi produce musica e su chi ne consuma, producendo situazioni paradossali (di cui parlerò nel seguito) e incrementando non di poco la già diffusa antipatia popolare nei confronti della SIAE (la quale, ricordiamolo, sarebbe in effetti la "Società Italiana Autori ed Editori", ma viene invece diffusamente percepita come un incrocio tra l'anonima sequestri e la Gestapo).

Innanzi tutto diciamo che i costi di produzione (e soprattutto quelli di auto-produzione) della musica in Italia diventano spesso insostenibili anche (non soltanto, purtroppo) per il costo del bollino, il quale va a gravare su una situazione già poco rosea per chi voglia realizzare musica in modo indipendente nel bel paese.

La buona notizia però è che la validità della normativa in merito ai bollini è stata messa in discussione in un caso giudiziario che sta facendo notizia tra gli addetti ai lavori.
In sintesi, si tratta di un caso penale nel quale un cittadino austriaco è accusato, in quanto rappresentante legale di una società italiana, di aver commercializzato alcuni CD ROM privi del bollino.

Il tribunale ha ritenuto opportuno chiedere una verifica alla Corte di Giustizia europea in merito alla legittimità della legge italiana che richiede la "bollinatura" dei supporti.
La legge in vigore in Italia appare infatti in contrasto con la normativa europea, la quale richiede che gli stati membri che intendano adottare una normativa tecnica, debbano prima notificare il progetto legislativo alla Comunità Europea.

Ciò non è stato fatto dall'Italia, la quale infatti si ritrova ad avere una norma in materia differente dagli altri paesi europei. La Commissione ha affermato che le norme italiane sono state effettivamente emanate in violazione del diritto comunitario, ossia senza che ci fosse stata alcuna comunicazione alla Commissione.

Per chi volesse approfondire i dettagli consiglio di leggere l'articolo pubblicato da Punto Informatico:
http://punto-informatico.it/p.aspx?i=2031028

Segnalo anche una pagina più "tecnica":
http://www.civile.it/news/visual.php?num=42508

Ma al di là delle questioni tecniche e legali, non penso di essere il solo a tirare un respiro di sollievo nell'apprendere che il bollino viene contestato a livello europeo. E' questa infatti l'unica speranza che abbiamo di poter vedere, un giorno non tanto lontano, abolito questo odioso sistema medievale di "timbratura" dell'opera dell'ingegno.
Un sistema che attualmente, oltre al già citato effetto su chi la musica la produce, ha per tutti i fruitori della musica uno svantaggio almeno duplice.
Innanzi tutto (e per un collezionista come me questo è un punto molto sentito) deturpa l'artwork del CD e/o DVD, soprattutto quando si tratta di un bel packaging in cartone, e proprio per questo dal maggior valore estetico. Ho visto veri e propri obbrobri che gridano vendetta, e spero in futuro di non vederne più.
In seconda istanza l'apposizione del bollino genera un paradosso: un CD originale e legalmente acquistato può essere considerato illegale, e il proprietario passibile di sanzione, se solo manca il bollino. Il quale può mancare perché era stato incollato alla plastica protettiva, che è andata via subito dopo l'acquisto (dovrò pur aprirlo il CD), oppure perché la custodia di plastica si è rotta e ho dovuto cambiarla (succede al 10% almeno dei CD) , ma anche perché mi faceva schifo lì dov'era (mai capitato che sia incollato sui titoli dei brani?) e ce l'ho tolto (provate con lo Svelto, fa miracoli, mai usare invece l'alcool e spugne abrasive).

Oltre alla rimozione di questi spiacevoli inconvenienti, l'eventuale dichiarazione di illegittimità del bollino può aprire uno spiraglio a quanti utilizzano legittimamente copie dei propri dischi originali (copie perfettamente legali e previste dalla legge) per l'ascolto di musica in auto o al mare, oppure (e qui si tocca un punto davvero dolente) per poter svolgere l'onestissimo lavoro di DJ.
Attualmente, infatti, in caso di ispezione la SIAE può comminare salatissime multe a chi venga "beccato" in possesso di copie, in quanto queste mancano del bollino, anche nel caso in cui l'accusato possa dimostrare in modo indiscutibile il possesso degli originali.

Non vedo l'ora di poter dire all'ispettore SIAE che la sua multa può infilarsela su per il... naso.
Come dite? Che troveranno un altro cavillo per fare lo stesso la multa? Beh, almeno fatemi sognare un po'.

10 luglio 2007

what's your favourite colour?

Partenza in salita ieri sera per l'unica data italiana del tour dei Living Colour: il bus che trasporta la band statunitense in giro per il mondo ha ceduto da qualche parte durante il tragitto per Milano, con conseguente catastrofico ritardo nell'arrivo dei quattro musicisti di New York al Transilvania.

I Living Colour arrivano infine poco dopo le 22, tra gli applausi del pubblico in attesa, che sono costretti ad attraversare per accedere al palco. Pubblico piuttosto folto in considerazione delle piccole dimensioni del locale, ma in definitiva non numerosissimo se si considerano i fasti della formazione in programma.
Un'ora scarsa di check (durante la quale non tutti i problemi verranno risolti, approssimativo ad esempio il suono della batteria) e si parte.
L'attesa a questo punto si rivela totalmente ripagata da una performance di altissimo livello.
Pur stanchi per le peripezie del viaggio e non certo entusiasti dei soliti problemi che assillano chiunque suoni nel locale di via Bruschetti (spazio ridotto all'osso, acustica da suicidio) i quattro musicisti di colore hanno dato grandissima prova della leggendaria perizia di esecutori e del caratteristico mix di generi che li contraddistingue, spaziando, grazie anche a lunghe improvvisazioni, dal rock al funk, dal free jazz all'heavy metal, dall'hip hop al blues, e chi più ne ha più ne metta in un caleidoscopio vorticoso che ha esaltato gli astanti, trascinati più volte al pogo e coinvolti nell'esecuzione della maggior parte dei brani da un Corey Glover in stato di grazia.


Tra i pezzi eseguiti cito, in ordine assolutamente sparso, Funny Vibe, Sacred Ground, Love Rears Its Ugly Head, Glamour Boys, Type (quasi irriconoscibile in un nuovo arrangiamento), Go Away, Memories Can't Wait, Ignorance Is Bliss, Flying, In Your Name, Cult of Personality (come al solito in chiusura del set), What's Your Favorite Color? (in versione estremamente libera).

Indimenticabile il lungo assolo di William Calhoun, in parte accompagnato da improvvisazioni elettroniche di Vernon Reid al laptop Mac, durante il quale il Nostro non solo ha cercato di non farci dimenticare il diploma conseguito al Berklee ormai più di due decenni fa, ma ha dimostrato brillantemente cosa possano fare una grande perizia esecutiva ed ad un abbondante uso di tecnologia e campionamenti se miscelati con gusto musicale ed inventiva.

Numerosi gli inserti chitarristici del mai abbastanza celebrato guitar hero Reid, sempre in bilico tra omaggi hendrixiani, spericolate armonizzazioni jazzistiche, ritmiche funky-disco.

Menzione speciale per Doug Wimbish, vera macchina ritmica per tutta la serata, che ha anche cantato un brano originale di Calhoun (non trascendentale ma molto godibile) con piglio deciso e doti vocali da cantante solista.

Se vi sembra ci sia un po' troppo entusiasmo in questa recensione... beh, è perché non c'eravate.