24 luglio 2008

Coldplay: viva la vida (ma anche il dinero)

Sono tentato di parlare malissimo di quest'album.
I Coldplay, per tante ragioni che spaziano dalle scelte musicali al fastidioso tono di molte interviste, sono per molti decisamente insopportabili, ed anche ultimamente non hanno fatto nulla per rendersi simpatici.

Sono però costretto ad ammettere di avere ascoltato troppe volte questo Viva La Vida per esserne sinceramente disgustato, e quindi bisognerà distinguere cosa c'è di buono da quello che non va.

Diciamo subito le cose ovvie e già risapute.
Il disco è stato curato da diversi produttori, tra i quali spicca il nome di Brian Eno, ed il risultato che ne consegue è piuttosto variegato.
Lo sforzo di discostarsi dall'ultimo, deludentissimo X&Y, è evidente: laddove in quel disco si denotava la ripetizione sistematica dello stesso schema in ogni brano, qui le soluzioni adottate sono estremamente diverse tra loro e tutte più o meno lontane dalla forma canzone tradizionale.

Già il titolo, con la scelta dello spagnolo e di un sottotitolo disorientante (Viva La Vida, or Death And All His Friends), e la copertina, che abbandona le rigide geometrie della grafica dei lavori precedenti, comunicano il desiderio di una svolta.

Ciò che resta uguale, almeno in molti brani, è la fastidiosa patinatura degli arrangiamenti, e la scelta di voler sempre essere gradevoli, di non dar fastidio in alcun modo con scelte aggressive o disturbanti. Ne risulta un album interessante per le strutture e per alcune soluzioni, ma mieloso, a tratti stucchevole.

Eppure, alcuni momenti buoni ci sono: ed è questo che mi induce a riascoltarlo. Potere del pop...

47th object on the Wire

I Wire non sono certo i primi a intitolare un album facendo riferimento a quale posto questo occupa cronologicamente nella propria discografia.

E' però probabile che siano i primi a utilizzare un numero d'ordine che include tutte le precedenti uscite della band, e non solamente gli album.

Ecco dunque che quest'ultimo disco è l'oggetto numero 47 nella discografia del gruppo britannico - e se lo dicono loro, che certamente hanno avuto modo di tenere il conto, sarà certamente vero.

A 5 anni dal ritorno in grande stile di Send, e dopo un EP che li trovava di nuovo in splendida forma, il gruppo inglese si ripropone con un nuovo lavoro che modifica ancora la formula e si muove su coordinate che si allontanano significativamente dal predecessore.

I primi tre brani di Object 47 riportano infatti alla mente le cose più felici del periodo anni '80, tralasciando l'aggressività e l'attitudine più combattiva che Send trasudava da tutti i pori. One Of Us è un upbeat pop-rock veloce e accattivante; Circumspect, in concordanza col titolo, è un brano più lento ed enigmatico, ma che conferma un ruolo privilegiato per la melodia e per le soluzioni semplici ed immediate; Mekon Headman è un leggiadro brano pop che nasconde qualche insidia solo nel ritornello, sbarazzino ma di sottile inquietudine. Attenzione: la leggerezza di queste canzoni è solo apparente, e lo si percepisce sempre più chiaramente ad ascolti ripetuti, ma non può non imporsi all'attenzione dell'ascoltatore l'estrema orecchiabilità delle linee melodiche tracciate dai Wire in questi brani iniziali e in tutto l'album.

Perspex Icon è il primo squarcio di nervosismo, con suoni di chitarra molto più taglienti ed un'attitudine punk che si riaffaccia in modo evidente. Il pezzo però è ancora pop, con Newman impeganto in una linea vocale che si stampa in testa rapidamente. Four Long Years ci regala una linea di basso che non potrà che far felice qualsiasi amante degli anni '80, alla quale si sovrappone qualche tocco di chitarra appena accennata ed un imperioso loop di batteria robotica. Kraut pop punk allo stato puro. Hard Currency avrebbe potuto essere uno dei pezzi più lenti di Send: la chitarra seghetta implacabile l'anima che il giro di basso cerca invano di cullare, mentre stacchetti nevrastenici di batteria e sfondi noise incupiscono l'orizzonte. Uno dei pezzi migliori dell'album, degno del primo disco solista di Newman.

Patient Flees sgombra le nubi del brano precedente e si schiude su territori molto morbidi. Il giro di chitarra su cui posa il brano ricorda una vecchia canzone degli Hooverphonic. Are You Ready? potrebbe benissimo uscire diritta diritta da Pink Flag: un perfetto brano punk pop, diritto e spigoloso allo stesso tempo, con una linea ritmica che viaggia spedita, interrotta solo da aperture melodiche inaspettate. Il disco si chiude con All Fours, un brano che sfodera il cantato più nevrotico di Colin Newman e un solo di chitarra molto "sonico", lasciando l'ascoltatore in sospeso e la strada aperta a qualsiasi tipo di seguito.

Object 47 è un disco che potrebbe far storcere il naso a chi aveva amato la "cattiveria" di Send, ma che sarà amato da chi considera i Wire una band che ha sempre sperimentato soluzioni non facili, anche quando ha preso qualche scivolone. Cosa che stavolta decisamente non ha fatto, con buona pace dei detrattori.

10 luglio 2008

In Heaven (Everything Is Fine)



E' molto difficile che un musicista non coltivi collateralmente una passione per il cinema. O almeno per alcuni film in particolare. E David Lynch è sicuramente uno dei registi più amati dai musicisti, e in maggior numero da quelli che hanno un interesse per la sperimentazione.

A riprova di ciò si può osservare l'enorme numero di cover esistenti di una canzone contenuta in Eraserhead, il primo lungometraggio del regista statunitense.
La cosa è ancora più notevole se si osserva che In Heaven (The Lady in the Radiator Song) è una canzone decisamente anomala, molto breve, composta da Lynch assieme a Peter Ivers. È inserita in una scena decisamente surreale e piuttosto inquietante, nella quale la "ragazza nel radiatore", osservata dal protagonista, all'improvviso intona questo piccolo gioiello dal testo solo apparentemente consolatorio ("in cielo / è tutto a posto").

Dalla sua uscita il film deve aver turbato le notti di molti, entrando definitivamente nell'immaginario collettivo degli artisti, al punto che i gruppi che hanno utilizzato la canzone in un loro disco di studio o durante le performance live sono in numero imprecisabile.

Di seguito riporto la lista delle versioni a me note:

- Annie Christian (nell'album Twilight, con il nome Hicks (1961 - 1994), 1999)
- Bang Gang (nell'album You, 1998)
- Bauhaus (nel live Rest In Peace, The Last Concert, registrato nel 1983, e pubblicato nel 1992)
- Haus Arafna (nell'album Children Of God, 1998)
- Danse Society (nel mini album Seduction, 1982)
- Devo (eseguita dal vivo, mai incisa ufficialmente)
- Faith No More (eseguita dal vivo, mai incisa ufficialmente)
- Miranda Sex Garden (nell'album Suspiria, 1993)
- Norma Loy (nell'album Rewind, 1986)
- Pankow (nell'album Freiheit Für Die Sklaven, 1987)
- Pixies (nell'album Pixies, registrato nel 1987 ma pubblicato nel 2002, e in Pixies at the BBC, 1998)
- Tuxedomoon (nell'album Pinheads On The Move, 1982, e nel live Ten Years In One Night, 1988)

- WC3 (à trois dans les WC) (nell'album La Machine Infernale, 1984)

Da segnalare anche che Modest Mouse ha utilizzato alcuni versi da "In Heaven" per la traccia "Workin' on Leavin' the Livin'"; che i Sex Gang Children citano "the lady in the radiator" nella canzone "Dying Fall"; che il brano "Too Drunk to Fuck" dei Dead Kennedys contiene il verso "you bawl like the baby in Eraserhead"; che i Pantera utilizzarono per diverso tempo come video introduttivo dei loro concerti il frammento del film in cui viene cantata la canzone.
"In Heaven" inoltre è stata una importante influenza per la composizione di altre canzoni, come ammesso ad esempio da Mars Volta, Melvins e Morning Runner. Il brano "Reptile" dei Nine Inch Nails è ispirato a Eraserhead. Il brano Heaven dei Virgin Prunes (nell'album The Moon Looked Down And Laughed, 1986) pare ispirato a quello del film pur non essendone una cover. Ulteriori riferimenti al film nella musica sono reperibili nella voce inglese di Wikipedia per Eraserhead.

Se conoscete altre versioni o altri aneddoti sul brano, i commenti sono qui apposta.

"You've got your good things, and I've got mine".

5 luglio 2008

Mark E. Smith is a 50 year old man

Star dietro alla sterminata discografia del gruppo di Mark E. Smith è una cosa piuttosto ardua.
Tra dischi di studio, live, raccolte, EP, singoli e cofanetti si superano tranquillamente i 100 titoli (ed una visita al sito non ufficiale ve ne darà la prova).

Sorprende dunque che Imperial Wax Solvent, ventisettesimo album di studio della band, riesca ancora a mostrare qualcosa di fresco ed interessante.
Intendiamoci: non sempre il nostro riesce a convincere con album eccellenti, ma qualche zampata da vecchio leone, ed una indomita attitudine punk/new wave che pare mai sopita, riescono a rendere dignitosa qualsiasi nuova prova.

E non va dimenticato che, pur rassegnati al fatto che l'ultimo vero capolavoro è archiviabile all'incirca nel 1985, con l'ottimo This Nation's Saving Grace, anche di recente qualche bel guizzo c'è stato: album come The Unutterable (2000) e The Real New Fall LP (2003) sono delle pregevoli acquisizioni nella discografia dei Fall.

Imperial Wax Solvent segue all'anomalo Reformation Post TLC, un album registrato in fretta e furia dopo una litigata che aveva deciso Smith a licenziare l'intero gruppo e ad assumere dei nuovi musicisti americani per le sessioni. Il risultato era stato un disco incerto e a tratti debole, ma godibile e con qualcosa addirittura di adolescenziale, come se l'ennesima "reformation" avesse concesso una vera nuova ripartenza.

Qui però la formazione è nuovamente rimaneggiata, proseguendo nella tradizione che vuole Smith unico membro stabile. Restano della precedente esperienza la tastierista (e moglie di Smith) Elena Poulou e il bassista Dave Spurr. Il chitarrista è Pete Greenway (che era apparso soòo in alcune tracce di Reformation) mentre il batterista è Keiron Melling.
Le conzoni in gran parte ricalcano, tra alti e bassi, stilemi tipici dei Fall, con Mark E. Smith nell'abituale registro tra il declamatorio e l'ubriaco.

Spiccano tra le altre Alton Towers, che apre degnamente l'album con un giro di basso ipnotico in primo piano ed effetti sonori sullo sfondo; 50 Year Old Man, che in 11 minuti racchiude tre sezioni molto diverse tra loro e il cui testo ci ricorda che il nostro ha raggiunto il mezzo secolo di età ma non intende mettere la testa a posto; I've Been Duped, pezzo atipico, molto vicino ai Sonic Youth, con la voce di Elena Poulou che si sostituisce a quella di Smith, e Taurig, un'interessante composizione completamente elettronica della Poulou.
Per il resto siamo su territori noti, con qualità nella media.

L'album isomma rispecchia con precisione ciò che ne disse anni fa John Peel: "Always the same, always different".

3 luglio 2008

Il Dono a Fiumani

"Ma ci parli ancora di Fiumani?" "Si, perchè?"

Non è colpa mia se l'uomo che sta dietro al marchio Diaframma non sta fermo un minuto, soprattutto in questi ultimi anni.

Non pago delle ancora abbastanza recenti uscite discografiche (Donne Mie a nome Federico Fiumani, e Camminando sul lato selvaggio a nome Diaframma), il nostro si è dedicato alla realizzazione di un disco di brani propri interpretati da diversi artisti italiani.

D'altronde Fiumani ha detto spesso che i suoi dischi vendono poche copie, e quindi lui ne fa tanti. Il che non significa che vengano sacrificati la qualità o l'impegno. Anzi, la mia impressione è che, considerato lo stile e le caratteristiche del nostro, più il progetto viene prodotto e studiato a lungo, più ne risente il risultato finale. Vedi l'esempio de Il ritorno dei desideri, un album nato negli anni '90 con ottime premesse (produttore era il buon Gianni Maroccolo), ma che non spicca nella discografia dei Diaframma come una delle opere più riuscite, pur contenendo alcune bellissime tracce. Progetti certamente più spontanei (Anni Luce, I giorni dell'ira, Volume 13,...) sono invece decisamente più coesi e soddisfacenti.

Ok, ho divagato. Il Dono esula da questi discorsi. Qui si tratta di vecchie canzoni, reinterpretate per l'occasione da diversi artisti. Tra i partecipanti al progetto, i nomi più noti sono quelli di Marlene Kuntz e Tre Allegri Ragazzi Morti (ci sarebbero stati anche i Baustelle se la loro etichetta non avesse apposto un assurdo veto), ma in maggiornaza si tratta di artisti emergenti o che navigano da anni in territori più propriamente underground, quali The Niro, Il Genio, Le Luci Della Centrale Elettrica, Santo Niente, e così via.

Il disco è un tributo da parte degli artisti cosiddetti "alternativi" ad un autore che, pur non avendo raggiunto un vastissimo pubblico, ha dato molto alla canzone italiana, ed è certamente conosciuto e apprezzato tra gli "addetti ai lavori". Fiumani lo ha chiamato "Il dono" perchè, come spiega egli stesso nelle note di copertina, lo considera un regalo fattogli dagli artisti che hanno partecipato.

Tra i brani, inutile dirlo, qualcuno è più riuscito e qualcun altro meno, ma il giudizio è influenzato per metà dal confronto con l'originale e per metà dal gradimento o meno dello stile dell'interprete. Ognuno insomma troverà le proprie preferite.

Da parte mia, ho gradito particolarmente le versioni più pop, o comunque più leggere, che sottolineano la grande qualità del Fiumani autore. Molto bella ad esempio Verde rifatta da Dente, come pure la delicata versione di Fiore Non Sentirti Sola proposta da Alessio Grazian, o ancora Il telefono, che i due de Il Genio si sono cuciti addosso facendone tutt'altro pezzo.
Ottime anche le interpretazioni di Siberia rifatta dai Marlene e della plendida Gennaio reinterpretata dai Tre Allegri Ragazzi Morti.
Meno riuscite a mio modo di sentire le versioni più cupe, che non rendono molta giustizia all'originale. Vedi ad esempio Altrove, rifatta da Altro in chiave vetero-gothic e decisamente piatta, oppure Un Giorno Balordo, una versione completamente fuori fuoco de Le Luci della Centrale Elettrica. Un discorso a parte merita Amsterdam, cantata con risultati non certo brillanti (soprattutto i primi versi sono difficili da buttare giù) dalla giornalista Elena Stancanelli. Fortuna che le viene in aiuto la voce di Fiumani. Un episodio inserito probabilmente per slancio d'amicizia, e perdonabile solo ricordando che se Sid Vicious ha inciso My Way, allora chiunque può fare ciò che gli pare.
In generale però il livello è buono e alcuni arrangiamenti svelano nuovi aspetti dei brani e potenzialità altrimenti insospettabili.
Una vera chicca l'originalissima ghost track, della quale non vi svelo nulla. La traccia fantasma dovrebbe essere una sorpresa, no? Rispettiamola.
Di seguito la track list completa:

* Alessio Grazian - Fiore Non Sentirti Sola
* Altro - Altrove
* Dente - Verde
* Elena Stancanelli Feat. The Niro E Fiumani - Amsterdam
* Il Genio - Il Telefono
* Le Luci Della Centrale Elettrica - Un Giorno Balordo
* Magnolia - L'amore Segue I Passi Di Un Cane Vagabondo
* Marlene Kuntz - Siberia
* N.A.N.O. - Una Stagione Nel Cuore
* Oshinoko Bunker Orchestra - Pasqua
* Roberta Carrieri - Labbra Blu
* Samuel Katarro - Diamante Grezzo
* Santo Niente - Lode Ai Tuoi Amici
* Superpartner - L'odore Delle Rose
* The Niro - Io Amo Lei
* The Zen Circus & Brian Ritchie Feat. Fiumani - I Giorni Dell'ira
* Tre Allegri Ragazzi Morti - Gennaio
* Ghost Track

2 luglio 2008

Some Bizzare re-release

Era il 1981. La spinta propulsiva del punk e della new wave era ancora molto viva dal punto di vista produttivo, ma i filoni si stavano moltiplicando ed emergevano i primi elementi di infiltrazione commerciale. Di lì a poco sarebbe arrivata l'ondata New Romantic a spazzare via tutto ed a rimettere il pop al centro della scena musicale anglosassone.

Nascevano ancora però dei veri e propri sotto-generi che avrebbero avuto una certa fortuna negli anni successivi: un esempio è quello del gothic-punk, ma anche la scena industriale (che avrà un certo strascico commerciale solo negli anni '90) si stava definitivamente consolidando.

Tra le cose veramente nuove che emersero in quegli anni ci fu il cosiddetto synth-pop, nato da una costola degli esperimenti sull'elettronica portati avanti da band quali Cabaret Voltaire e Throbbing Gristle, che si mischiò con la new wave e il dark fondando una nuova corrente in bilico tra sperimentazione e ambizioni da classifica. Un genere che fu guardato sin dall'inizio con una certa diffidenza ma proiettato, forse a sua stessa insaputa, verso un immenso successo commerciale negli anni successivi.

Tutto però in quell'epoca nasceva grazie ad iniziative personali ed all'impiego del do it yourself, nella filosofia punk che si era fatta strada nel 76/77. Tra il 76 e l'83 sorsero in Inghilterra migliaia di piccole etichette, molte legate ad un solo gruppo musicale, tantissime con un solo disco all'attivo, quasi tutte senza veri e propri uffici se non l'abitazione di qualcuno come punto di riferimento. Tra queste iniziative si segnalò nell'ambito della musica elettronica, per la lungimiranza delle scelte e per la notorietà di alcuni dei suoi artisti della prima ora, quella di un tal Stevo Pearce, il quale fondò proprio nel 1981 la piccola ma ambiziosa Some Bizzare. Prima uscita dell'etichetta fu una compilation, il "Some Bizzare album", che includeva tutto quanto secondo Stevo era meritevole di essere messo in evidenza. A scorrere oggi i nomi presenti, ci si sorprende quasi nel ritrovare tutti insieme Depeche Mode, Soft Cell, The The, Blancmange e diversi altri in questo disco.

Stevo era un personaggio decisamente singolare. Molti lo ricordano simpatico e piacevole, e certamente svolse un ruolo importante nel far emergere la musica elettronica dalla nicchia in cui era ancora relegata prima del suo impegno. Non fu però capace di gestire adeguatamente i rapporti con le diverse ottime band che mise sotto contratto (vedi ad esempio Einsturzende Neubauten e Coil, con i quali ha avuto dispute legali) e perse da subito il controllo su diversi artisti (i Depeche Mode ad esempio firmarono subito dopo con la Mute di Daniel Miller). Resta però una figura centrale per la comprensione di quegli anni.

Oggi finalmente l'album di esordio della Some Bizzare viene riproposto in versione rimasterizzata, con una copertina del tutto fedele all'originale e tre bonus tracks. Vale sicuramente la pena metterci su le mani, sia per l'interesse storico, sia per ascoltare i brani di alcune band che hanno poi avuto storia breve ma che avrebbero forse meritato maggiore fortuna.
Va inoltre segnalato che la versione di Photographic dei Depeche Mode presente sull'album non è quella poi inserita nell'album di debutto, ed è rimasta per molti anni inedita (solo alla fine degli anni '90 è stata inserita in una raccolta dei Depeche), mentre The Girl with The Patent Leather Face è la primissima incisione dei Soft Cell e non è mai stata inclusa in alcun album. E' evidente l'influenza su quest'ultimo pezzo di Warm Leatherette, un brano edito solo su singolo a nome The Normal (pseudonimo dietro il quale si celava Daniel Miller). E proprio Warm Leatherette rappresenta un eccellente motivo per accaparrarsi questa riedizione: è infatti la prima delle bonus tracks, inserita qui in quanto era previsto in origine che apparisse sulla raccolta. Degni di nota anche il brano senza titolo dei The The, come pure le composizioni di B-Movie, Neu-Electikk, Naked Lunch. Per non parlare dell'eccezionale Back To Nature di Fad Gadget, tutt'altro che inedita ma che si riascolta con piacere tra le bonus.

La track list completa:

1. Illustration - Tidal Flow
2. Depeche Mode - Photographic
3. The The - (Untitled)
4. B-Movie - Moles
5. Jell - I Dare Say it Will Hurt a Little
6. Blah Blah Blah - Central Park
7. Blancmange - Sad Day
8. Soft Cell - The Girl with the Patent Leather Face
9. Neu Electrikk - Lust of Berlin
10. Naked Lunch - La Femme
11. The Fast Set - King of the Rumbling Spires
12. The Loved One - Observations
13. The Normal - Warm Leatherette (bonus track)
14. Fad Gadget - Back To Nature (bonus track)
15. Residents - The Act of Being Polite (bonus track)