20 febbraio 2010

Heligoland in heavy rotation

Sette anni di lavorazione, l'uscita rinviata più volte, un fiume di chiacchiere sulle collaborazioni vere o presunte, poi le anticipazioni di brani in versione remix sul sito della band, l'EP Splitting The Atom... Ce l'hanno fatto sudare, insomma.

Ma ora esiste, fisicamente: è un CD, ce l'ho in mano. E si può anche ascoltare, invece che parlarne soltanto.

Solo per i Massive Attack (e forse per pochi altri) potevo provare ancora questo senso di anticipazione, e allora scusatemi se mi sono dilungato un po' prima di parlare davvero di Heligoland, un album che ha subito diviso i commentatori nei classici due partiti, i sostenitori della tesi del capolavoro e quelli della tesi della prova deludente.

Da che parte stare? Non ho ancora deciso, sarà che non me ne importa di partecipare a questo giochino, sarà che i dischi mi piace ascoltarli tanto prima di osannarli o stroncarli, sarà che la band riesce ancora a spiazzarci.

L'album offre dieci brani, di cui alcuni già sentiti nell'EP oppure già eseguiti nel recente live. Dunque materiale in parte già conosciuto, ma che ciononostante è nuovo e in parte sorprendente.
Che i due di Bristol (al momento, la line up consiste stabilmente di Robert del Naja e del rientrato Grant Marshall) non avessero intenzione di ripercorrere la strada di 100th Window, era evidente. Il brano Splitting The Atom lo diceva a chiare lettere: adesso facciamo altro, si cambia direzione. Basta dunque con la pur brillante rivisitazione in chiave electro della new wave che era stato l'album precedente.

Il discorso piuttosto è che non è chiaro quale sia la nuova via, visto che Heligoland rimescola le carte ma ripropone in gran parte deja-vu sonori, rimandi al passato, suggestioni già vissute.
Lo fa però con grande classe e centrando, tranne in rari casi, l'obiettivo di fare comunque ottima musica, di tracciare coordinate che abbiano ancora un senso in un'epoca insensata, di ribadire concetti di libertà e indipendenza che vengono sempre più spesso messi in discussione.

La novità più importante di Heligoland diventa allora l'assenza di campionamenti; una scelta che viene motivata con argomentazioni di tipo legale ma che segna anche la fine di un'epoca, la decisione di non sfruttare più quella che una volta era una tecnica innovativa e dirompente ma che ormai è diventata una sorta di stanco cliché.

Alcuni brani sono eccellenti. E' bellissima Splitting The Atom, cantata dal duo con la partecipazione dello storico collaboratore Horace Andy. Un brano originale e "nuovo", che rimastica gli ovvi rimandi al passato in modo ancora mai sentito. E anche la più "tradizionale" interpretazione di Andy in Girl I Love You si fa apprezzare tra le migliori cose del disco. L'altra grande prova è quella di Flash Of The Blade, cantata da Guy Garvey degli Elbow, un pezzo inquietante e degno dei migliori Massive. Tra le mie favorite, segnalo anche il pezzo di apertura Pray For Rain, con la voce di Tunde Adebimpe dei TV On The Radio. E' una canzone molto atipica, che riserva delle sorprese e non mi stanca mai.

Un piccolo gradino al di sotto mi sembrano stare i tre brani che si appoggiano alle voci femminili. Martina Topley Bird fornisce una prova molto buona ma non entusiasmante in Babel e Psyche. Due brani che risentono molto dell'influenza di 100th Window, belli ma che non si candidano a momenti più eccitanti dell'album. Mi piace molto anche Paradise Circus, cantata da Hope Sandoval, ma anche questo è un brano che non riesce a darmi il brivido del capolavoro.

Fa discorso a se' Rush Minute, un pezzo che tocca molto le mie corde personali, come tutti quelli che Del Naja tiene per se'. Ma non credo che piaccia a tutti come piace al sottoscritto.

Saturday Come Slow non riesce invece a piacermi per nulla, pur apprezzando di norma il buon Damon Albarn. Troppo lontana dalla spirito Massive, troppo banalotta e con un atroce refrain vocale che si sarebbe potuto evitare.

Atlas Air chiude l'album giocando sul sicuro, un pezzo costruito "alla Mezzanine" che piace per motivazioni ovvie, ma che proprio per questo sembra asserire proprio la voglia di non rischiare troppo.

Con questo disco i Massive Attack non indicano il futuro, ma ribadiscono bene un presente cupo e stagnante. L'album non resterà nella lista dei migliori di sempre, ma cresce ascolto dopo ascolto e mi pare sia stato generalmente sottovalutato. Io ce l'ho in heavy rotation, dategli una chance.

18 febbraio 2010

White Lies live: non male, ma l'audio...

Ieri sera mi sono dato una spolverata all'acconciatura anni '80, ho tirato fuori il chiodo dall'armadio, ho verificato allo specchio di non sembrare ancora un nonnetto (non rivelerò qui il risultato del test) e mi sono andato a ficcare in un contesto che più giovanilistico non si può: il live dei White Lies all'Alcatraz di Milano.

Età media del pubblico forse sui 18 anni e grande entusiasmo per una band che ha esordito da appena un anno con un buon album di pop-rock epico, arrangiato come se fosse un disco dei Joy Division (linee di basso e tom in grande evidenza, chitarra minimale) ma composto per i cori da stadio come un album degli U2 e venato di linee di tastiera furbette ed efficaci. Una carrellata di potenziali singoli che la band ha riproposto per intero sul palco dell'Alcatraz, dimostrando una buona tenuta dal vivo nonostante l'esperienza internazionale ancora molto breve.


Note positive: bella la scenografia, minimale ma di gran classe e molto funzionale allo stile della band; buona la performance del cantante Harry McVeigh (che in novembre aveva dovuto far slittare parte del tour per problemi alla voce) anche se calante qua e là (ma niente di grave); molto piacevole soprattutto vedere una band che nel 2010 sale sul palco senza un click in cuffia come guida, rischiando qualche svarione ritmico qua e là ma restituendo in compenso un "effetto live" che ultimamente viene un po' a mancare.

Ma tocca ora alla pesante nota dolente: possibile mai che si debba ascoltare un concerto a volumi assurdi (da far male ai timpani, e lo dice uno che non si fa scrupolo di farsi maltrattare sotto al palco) e distorsione dei bassi a livelli pazzeschi, a causa di una evidente cattiva gestione del PA? E dire che a fine concerto i fonici si stringevano la mano e si davano gran pacche sulle spalle per complimentarsi a vicenda. Questi dovrebbero essere dei buoni professionisti, ma o sono sordi, o sono in malafede, o hanno uno strano concetto del proprio mestiere. Non mi capitava da tempo di dover arretrare di venti metri per riuscire ad ottenere un ascolto decente, nemmeno fossimo sotto al palco di San Siro.

14 febbraio 2010

Lydia Lunch is sexy and noisy

Big Sexy Noise è un progetto che nasce dalla collaborazione tra Lydia Lunch e tre quarti dei Gallon Drunk: James Johnston (chitarra), Ian White (batteria) e Terry Edwards (organo e sax).

Il disco che ne deriva è una gran bella sorpresa. Grinta da vendere, suono grezzo e cattivo quanto basta, una prova di vitalità che poteva anche risultare grottesca, vista l'età media del quartetto. E invece...

Si ritrovano nei solchi di queste dodici tracce lo spettro della new wave e della gioventù sonica che aleggiavano sulla New York di fine anni '70, ma anche una rabbia ormai matura, priva di fronzoli e di autocelebrazione. Un disco virulento e caldissimo, sexy come una delle pellicole di cui la Lunch fu protagonista ormai qualche decennio or sono: in modo disturbante, allucinatorio, eppure irresistibile.

In pezzi come Baby Faced Killer, Another Man Coming, Bad For Bobby, God Is A Bullet, potrete ritrovare Stooges, sudore, echi di James Chance, lacrime, jazz sporco e blues rimbombante, un Birthay Party all'inferno, whisky e sigarette affondate nella voce roca di una Lunch mai doma.
Grandissima la cover di Kill Your Sons di Lou Reed, il cui testo, cantato da lei, si fa ancora più inquietante:

All your two-bit psychiatrists
are giving you electroshock
They said, they'd let you live at home with mom and dad
instead of mental hospitals
But every time you tried to read a book
you couldn't get to page 17
'Cause you forgot where you were
so you couldn't even read
....
All of the drugs, that we took
it really was lots of fun
But when they shoot you up with thorizene on crystal smoke
you choke like a son of a gun

11 febbraio 2010

Crollo nervoso

Mi capita troppo spesso di comprare un DVD e poi metterlo lì a fare la muffa. Mi è successo anche con Crollo Nervoso, uscita della Spittle che ha attratto la mia attenzione non solo per l'argomento (la new wave italiana degli anni '80) ma anche per l'artwork decisamente originale.
L'ho messo sullo scaffale a metà dicembre, poi l'ho portato in giro nelle vacanze di Natale pensando che l'avrei visto nei tempi morti, alla fine è tornato sul suo scaffale. Per sbloccare questo meccanismo ho dovuto approfittare della visita di un amico, al quale l'ho propinato a tradimento qualche sera fa. E quindi ora posso parlarne qui.

Crollo Nervoso è una serie di tre documentari da circa 50 minuti l'uno, dedicati rispettivamente alla scena bolognese, a quella fiorentina ed alle restanti realtà italiane.

Pierpaolo De Iulis, regista e ideatore del progetto, ha scelto un taglio giornalistico di scuola, che privilegia la narrazione dei fatti e fornisce una cornice sociologica al fenomeno, trascurando un po' la presentazione del materiale artistico. Alla fin fine si sente parlare tanto, si vede molto materiale dell'epoca ben montato, ma non è che si ascolti tanta musica: si tratta soprattutto di frammenti spesso coperti dalla voce narrante.
Ma dal punto di vista documentaristico il lavoro è egregio. Non mancano un inquadramento del periodo, la storia della nascita delle band e dei locali nelle quali emersero, i principali eventi discografici, un'indagine su come si spense il movimento (se mai ci fu qualcosa che così si possa definire). Soprattutto, si citano tanti nomi poco noti ma di assoluto interesse (Minox, Limbo, Carillon del Dolore, Underground Life, tanto per fare qualche esempio), fornendo ottimi spunti per la curiosità di chi volesse approfondire.

Una visione gradevole (e se non fosse per la massiccia presenza in video di Red Ronnie nel primo documentario, sarebbe anche più gradevole) che non rivelerà tantissimo a chi è già addentro alla storia di quegli anni, ma potrebbe fungere da egregia introduzione per i meno smaliziati.

Al DVD si affianca un CD curato da Federico Guglielmi, che ha scavato nei propri archivi recuperando 16 tracce dell'epoca, provenienti da altrettanti demo prodotti da band totalmente sconosciute e che non ebbero molta storia fuori dalle cantine. Un ascolto che forse non regala grandi sorprese ma che restituisce una fotografia del fermento che si visse nello stivale negli anni della new wave italica.

Paranoia in hi-fi

Per il proprio trentennale i Nurse With Wound hanno pensato ad una celebrazione particolarissima e di rara intelligenza.

Paranoia in hi-fi è una sorta di sampler della band, ma ben lungi dall'essere un banale best of, consta in pratica di una sola lunghissima traccia che senza soluzione di continuità snocciola un'intera carriera missata in un solo disco.

L'aspetto rivoluzionario dell'operazione sta nel prezzo di 99 pence proposto per il mercato inglese *, meno dei costi di produzione e distribuzione, e nel fatto che l'album non può essere acquistato online. Una provocazione che vuole costringere il pubblico ad andare fisicamente nei negozi di dischi, in assoluta contro-tendenza in un mondo che ci vuole tutti seduti in casa davanti al computer.

"This CD confirms what all Nurse With Wound followers have known for many years, and will open the ears for new listeners to the fact that Nurse With Wound have always been an outstandingly innovative and ceaselessly creative force. Never staying still NWW are unpredictable, disconcerting, humorous and always original. With a flagrant disregard and disinterest in musical styles, cliques or fashions the uniquely independent and autonomous NWW have made over 50 albums with no regard and no interest in their critical or commercial reception. Mixing the sublime with the ridiculous Steven Stapleton and NWW uncompromisingly carve their own distinct style that has a musical language and visual landscape entirely of its own. Drawing inspiration from far flung corners including DaDa, Perez Prado, Surrealism, Krautrock and whole cascade of other ideas NWW have created a diverse back catalogue of material from ambient classics (Soliloquy for Lillith) to the disturbed (Homotopy to Marie) and many other easy listening nightmares. NWW is an idyllic and fascinating tropical island way out there on a limb, the visitors who make it to their shores seldom ever want to leave. Paranoia in Hi-Fi covers almost all of NWW's wild and eclectic sinister whimsy and shows that in Steven Stapleton's world everything is possible...possible, possible."

* In Italia il prezzo si attesta attorno ai 5 euro, a causa dei costi di importazione.