31 marzo 2010

dark night of the soul



In memoria di Mark Linkous, alias Sparklehorse, che la sera del 6 marzo si è rotto i coglioni e si è sparato al cuore.

Il brano è tratto dal disco omonimo di Danger Mouse, (non) pubblicato dalla EMI e nato dalla collaborazione con Linkous e con David Lynch.

Le foto del video sono tratte dal volume di Lynch dal medesimo titolo.

19 marzo 2010

Nitzer Ebb Compilation

Quando un amico mi propinò il primo album dei Nitzer Ebb nell'ormai lontanissimo 1987, rimasi spiazzato da quella mistura di elettronica e punk, e credo proprio che non fui l'unico. Si profilava per la prima volta un inedito matrimonio tra la pulsazione meccanica della drum machine e l'energia rabbiosa e madida di sudore della voce di Douglas McCarthy. Era nata l'EBM (grazie anche ai contemporanei Front 242), ma questa definizione la scoprii soltanto più tardi.

La band ebbe un'influenza immensa sulla scena elettronica degli anni '90: basti pensare che il primo album dei Nine Inch Nails all'epoca dell'uscita fu considerato da molti soltanto una discreta prova imitativa dell'innovativo duo britannico.

I Nitzer Ebb hanno pubblicato tra l'87 e il '95 appena 5 album. I primi tre - That Total Age, del 1987, Belief del 1988 e Showtime del 1990 - seguivano lo stile rigoroso degli esordi; i successivi Ebbhead del 1991 e Big Hit del 1995 aggiornavano la formula proponendo una forma canzone meno legata alle declamazioni stentoree delle prime fatiche ma comunque genuinamente sperimentale e pesantemente elettronica.

Il ritorno è avvenuto soltanto nel 2009, con la buona prova di Industrial Complex. Nel frattempo, nel 2006 avevano visto la luce due compilation: Body of Work e Body Rework. La prima raccoglie, in due CD, 19 singoli e 16 remix pubblicati dalla band negli anni tra il 1986 e il 1995. La seconda, in un solo CD, è costituita invece da 11 nuovi remix realizzati da artisti contemporanei.

Avevo snobbato queste uscite, anche considerando l'eccessivo sforzo economico che avrebbero richiesto. Ma, a confermare che la pazienza a volte premia, ecco che ora la Mute ripropone in un box cartonato le due compilation, riunite col titolo Compilation (anche in casa Mute a volte latita la fantasia). Una buona occasione per mettere le mani, a poco prezzo, su un po' di storia dell'elettronica. Anche se, a dirla tutta, lo spessore di Body Rework, al di là di pochi episodi, è praticamente nullo rispetto a quello di Body of Work (così poi non dite che non vi avevo avvisato).

18 marzo 2010

Plastic beach

Al primo ascolto questa terza prova dei Gorillaz di Damon Albarn mi aveva deluso alquanto. E' che dopo tanti anni passati ad ascoltare i dischi più vari e disparati, ancora mi faccio fregare dalle aspettative e dai preconcetti.

Il fatto è che io mi aspettavo semplicemente un "Gorillaz III", mentre evidentemente nelle intenzioni di Albarn questo dovrebbe essere l'album della svolta.

I primi due album erano basati su una miscela vincente di pop elettronico, rock alternativo, dub e hip hop, una macchina da guerra sapientemente orchestrata che, assieme ad una successione di brillanti mosse di marketing, ha generato il caso più unico che raro di una band virtuale più acclamata e famosa della gran parte delle band "reali" (tanto da superare il successo degli stessi Blur).

Ma evidentemente successo, vendite e critica a favore non devono essere bastati. Il buon Damon, uomo infaticabile e irrequieto, desiderava alzare la posta, puntare più in alto, sfornare il capolavoro. E con una logica ormai antiquata, ma coerente con l'obiettivo, ha puntato sul disco concept. Con il risultato di appesantire la faccenda e di perdere dunque in scioltezza ed immediatezza - proprio le qualità più straordinarie dei dischi precedenti.

Eppure in questo album c'è tanto di buono - e in certa misura si tratta di cose che si scoprono ad ascolti successivi. Purtroppo, il CD soffre dell'eccessiva eterogeneità e di un ordine dei brani che appare forzato, piegato alle necessità della narrazione.

Piano piano però ho superato, ad esempio, il lieve fastidio causato dalla successione della seconda e della terza traccia, che dopo la breve Orchestral Intro sembrano preludere ad un disco di puro hip hop (Snoop Dogg è l'ospite di Welcome to the World of the Plastic Beach, i rapper Bashy e Kano quelli di White Flag).

Così come alla fine mi sono adattato all'"effetto compilation", causato da un'alternanza di generi che dimostra tanto colto eclettismo ma priva l'album di qualsiasi coerenza interna.
E allora riesco a godermi cose come Rhinestone Eyes (primo episodio dell'album che ricorda i Gorillaz più "classici"), oppure quella gran genialata che è Stylo (in cui l'alternanza delle voci di Mos Def, dello stesso Albarn e dell'inaspettato Bobby Womack genera una delle cose più originali dell'album), o anche la title track Plastic Beach (ospiti la metà dei Clash: Mick Jones e Paul Simonon) e financo la piacevole canzoncina pop Some Kind of Nature, alla quale ha prestato la voce niente meno che mister Lou Reed.

Il problema però è che non pochi tra i 16 brani soffrono di una eccessiva evanescenza, e sembrano davvero le jam session di un gruppo di cartoni animati esiliati su un'isola di plastica (si ascolti ad esempio Glitter Freeze, scanzonato pasticcio sul quale blatera un ubriachissimo Mark E Smith). Onore al merito, allora, ad un'operazione fin troppo riuscita; ma non so se quest'album meriterà la gloria dei posteri come forse sperava lo chef Albarn.

16 marzo 2010

Plastic Box reprint

Plastic Box è una raccoltona in 4 CD di materiale vario dei Public Image Limited di John Lydon.

Pubblicato originariamente nel 1999, il box è stato recentemente ristampato e si trova di nuovo nei negozi a un prezzo piuttosto abbordabile.

L'operazione in se' sarebbe discutibile: gran parte del materiale proviene dai dischi di studio ed è dunque reperibile altrove; di contro, l'antologia è ben lungi dal comprendere l'opera omnia della band, anzi è compilata in modo da lasciar fuori almeno uno o due brani da tutti gli album, rendendo dunque indispensabile, per i completisti, l'acquisto di tutti i CD che compongono l'opus del gruppo.

Ma questo rientra nelle solite regole del gioco discografico, si tratta dunque di un peccato veniale ben perdonabile.

Quello che va valutato allora è cosa il box aggiunge alla discografia dei PIL. E da questo punto di vista si tratta di un lavoro ben fatto, in quanto il cofanetto recupera quasi tutto il materiale rimasto fuori dai dischi ufficiali, pubblicato finora soltanto sui singoli o altrimenti irreperibile.

Peccato soltanto che la nuova edizione lasci fuori il libretto di 36 pagine incluso nell'edizione del 1999 (sostituito da un più striminzito booklet di 8 pagine), e che il materiale inedito proposto da Martin Atkins non sia stato preso in considerazione dalla Virgin per la pubblicazione.

Disc 1:

01. Public Image (da First Issue)
02. The Cowboy Song (B side of Public Image single)
03. Theme (da First Issue)

04. Religion I (da First Issue)
05. Religion II (da First Issue)
06. Annalisa (da First Issue)
07. Low Life (da First Issue)
08. Attack (da First Issue)
09. Poptones (Radio 1, John Peel Session 17.12.79)
10. Careering (Radio 1, John Peel Session 17.12.79)
11. Chant (Radio 1, John Peel Session 17.12.79)
12. Death Disco (12” Remix)
13. 1/2 Mix - Megamix (Death Disco Remix)
14. No Birds Do Sing (da Metal Box)
15. Memories (da Metal Box)

 
Disc 2:

01. Another (B side of Memories single)
02. Albatross (da Metal Box)
03. Socialist (da Metal Box)
04. The Suit (da Metal Box)
05. Bad Baby (da Metal Box)
06. Radio 4 (da Metal Box)
07. Pied Piper (from Machine compilation)
08. Flowers of Romance (12")
09. Four Enclosed Walls (da Flowers of Romance)
10. Phenagen (da Flowers of Romance)
11. Track 8 (da Flowers of Romance)
12. Hymie's Him (da Flowers of Romance)
13. Under The House (da Flowers of Romance)
14. Banging The Door (da Flowers of Romance)
15. Go Back (da Flowers of Romance)
16. Francis Massacre (da Flowers of Romance)
17. Home is Where the Heart is (B side of Flowers of Romance single)


Disc 3:

01. This is Not a Love Song (12" Remix)
02. Blue Water (B side of This is Not a Love Song 12")
03. Bad Life (7" edit)
04. Question Mark (B side of Bad Life single)
05. Solitaire (da This is What You Want... This is What You Get)
06. Tie Me to the Length of That (da This is What You Want... This is What You Get)
07. Where Are You? (da This is What You Want... This is What You Get)
08. The Pardon (da This is What You Want... This is What You Get)
09. 1981 (da This is What You Want... This is What You Get)
10. The Order of Death (da This is What You Want... This is What You Get)
11. FFF (da Album)
12. Rise (da Album)
13. Fishing (da Album)
14. Round (da Album)
15. Home (da Album)
16. Ease (da Album)


Disc 4:

01. Seattle (da Happy?)
02. Angry (da Happy?)
03. The Body (US 12” Mix)
04. Selfish Rubbish (B side of Seattle single)
05. Disappointed (da 9)
06. Happy (da 9)
07. Warrior (UK 12” Remix)
08. USLS 1 (da 9)
09. Don't Ask Me (da The Greatest Hits... So Far)
10. Criminal (dalla soundtrack Point Break)
11. Luck's Up (da That What is Not)
12. God (da That What is Not)
13. Cruel (Radio 1, Mark Goodier Live Session 25.2.92)
14. Acid Drops (Radio 1, Mark Goodier Live Session 25.2.92)
15. Love Hope (Radio 1, Mark Goodier Live Session 25.2.92)
16. Think Tank (Radio 1, Mark Goodier Live Session 25.2.92)

7 marzo 2010

Ristampe succose dai favolosi anni 80 (parte 3)

"I wish I was in Tijuana / Eating barbequed iguana". Come dimenticare questo geniale verso dal geniale singolo Mexican Radio dei geniali Wall Of Voodoo?

Ok, ho ripetuto "geniale" qualche volta di troppo. Ma qui si parla di una delle più incredibili band degli anni 80, capace di fondere la new wave, il synth pop e lo spaghetti western alla Morricone senza battere ciglio.
Un gruppo che come primo singolo pubblicò una straniante versione dell'arcinota Ring Of Fire di Johnny Cash, con un arrangiamento basato su un ipnotico drone di sintetizzatore che non era certamente "tipico".

Fuori dall'ambiente della sperimentazione vera e propria - troppo scanzonati - ma anche da quello del mainstream - troppo anomali - i Wall Of Voodoo pubblicarono con il cantante Stan Ridgway due piccole gemme: Dark Continent (1981) e Call Of The West (1982). Ridgway li abbandonò per darsi alla carriera solista, e la band continuò a pubblicare album per qualche anno senza ritrovare la verve dei primi due dischi.

Questo post ha lo scopo di segnalarvi che è uscita da poco una riedizione dei due album in un unico CD, curata dalla Raven.
Operazione che in genere amo poco, in quanto penalizza l'artwork e stravolge la tracklist incollando due dischi uno dietro l'altro, ma in questo caso risulta comunque benemerita se si considera che Dark Continent non veniva ristampato da moltissimi anni.

Un consiglio: cercatevi anche The Index Master, raccolta che include il primo EP e una selezione di brani dal vivo. Ne vale decisamente la pena.

Ristampe succose dai favolosi anni 80 (parte 2)

I Freur non sono certo uno dei nomi più noti fra i tanti che hanno rapidamente solcato i turbolenti anni '80.

Ma in compenso ci hanno lasciato il singolo più bello di tutti i tempi (la meravigliosa Doot Doot) e due album talmente strani da risultare tuttora inclassificabili.

Li cita Julian Cope nella sua autobiografia Repossessed, e usa parole assolutamente indicative del fascino evocato dal misterioso ensemble: "[...] la mia mente era stregata dallo splendore glam dei Freur. Quel gruppo impenetrabile si era rifiutato di darsi un nome normale e aveva preferito un ghirigoro a forma di spirale simile a una specie di verme misterioso. I Freur comparvero a The Tube suonando la loro Doot-Doot vestiti con dei costumi blu e delle tute spaziali. [...] Il loro sound, guidato dalla batteria elettronica, era affettato e irrequieto, come se avessero preso la prima musica dei Dalek I Love You, e gli avessero aggiunto i fantastici cori dello Yes Album! Porca vacca! I riferimenti erano talmente sottili che riuscivo a godermeli senza riconoscere le somiglianze equivoche. Il fascino dei Freur si basava tutto su un'atmosfera intrigante nello stile dei primi Roxy Music, condita da tinte blu elettrico"*

Cos'altro aggiungere al lucido delirio del grande druido Cope? Posso soltanto dire, come nota storica, che all'album di debutto Doot-Doot del 1983, seguì nel 1985 l'ancor più spiazzante Get Us Out Of Here!, pubblicato solo in Germania e in Olanda e finora inedito in CD.

E' uscita solo da qualche mese una utilissima ristampa della Cherry Records, che pur con qualche pecca (artwork piuttosto trascurato, i due album su un solo CD, ordine degli album invertito), ha però l'enorme merito di proporre per la prima volta il secondo album dopo ben 25 anni.

Non posso non aggiungere, per inciso, che il cantante/chitarrista Karl Hyde e il tastierista Rick Smith diventeranno negli anni '90 i ben più noti Underworld, i quali non solo saranno tra i principali protagonisti della fervente scena elettronica dell'epoca, ma daranno alla luce uno dei miei dischi preferiti di sempre (l'incredibile Second Thoughest In The Infants).

* Julian Cope, Hard On/Repossessed, LAIN Books, trad. it. di Silvia Rota Sperti

Ristampe succose dai favolosi anni 80 (parte 1)

Sono passati esattamente 25 anni da quando un caro amico mi regalò Welcome To The Pleasure Dome dei Frankie Goes To Hollywood.

Due dischi in vinile, poco più di un'ora di canzoni e un artwork decisamente indimenticabile. Una rivoluzione travolgente, un'iniezione di ammiccamenti sonori e visivi che mi traghettarono nella zona più calda dell'adolescenza e in un mondo di suggestioni musicali fino ad allora sconosciute.

Non accadde solo a me: questo è uno dei dischi più importanti degli anni '80, e lo è per un sacco di incredibili ragioni.

L'album usciva per la ZTT di Trevor Horn, un uomo la cui influenza sarebbe stata enorme sullo sviluppo della musica pop a venire. Horn era autore di un progetto ad amplissimo spettro che, a partire dagli Art Of Noise, e sviluppandosi attraverso diversi artisti sui quali ebbe un controllo più o meno evidente ed invadente (i Propaganda, gli stessi Frankie Goes To Hollywood, gli Yes di Owner Of A Lonely Heart, la Grace Jones di Slave To The Rhythm, e l'elenco è ancora molto lungo), lavorò su diversi aspetti della concezione stessa di mercato musicale. Il campionamento come forma d'arte, la costruzione di una hit pop come mescolanza di influenze diverse e non sempre coerenti, il rapporto tra l'artista e il pubblico come soggetto dell'arte stessa (in senso anche warholiano), l'utilizzo di messaggi dirompenti ed al contempo ambigui per attirare l'attenzione su aspetti più nascosti e più importanti, furono tutti elementi introdotti o comunque potenziati da Trevor Horn e poi assimilati, diffusi, e spesso banalizzati, dall'industria musicale nel decennio successivo e ancora fino ad oggi.

Welcome To The Pleasuredome è la quintessenza di questa alchimia. Partendo da una rock band dalle buone potenzialità ma non eccelsa, dalla quale venne soprattutto estratta l'eccezionale personalità del cantante Holly Johnson, Horn fabbricò un album in cui ogni solco rimandava, tra collaborazioni, riadattamenti, riarrangiamenti, artifici di studio, un caleidoscopio sonoro al quale non eravamo ancora abituati. I brani originali e le diverse cover vennero trattati e modificati con un sapiente - ed all'epoca innovativo - lavoro di studio, fino a diventare altro ed a comporre un'opera che era fuori dal controllo dell'artista stesso. Anzi, l'artista percepito dal pubblico diventava la somma di un numero di fattori enorme - la composizione, gli arrangiatori, lo studio, i sintetizzatori, il produttore, i grafici, i designer, i remix, i registi dei videoclip - fino al punto che i Frankie Goes To Hollywood furono ben altro da se', ma lo furono con una potenza inimmaginabile fino a quel momento.

Consci di questo meccanismo, i cinque del gruppo sentirono il bisogno di ribellarsi e si sfilarono dal meccanismo, pretendendo di registrare il secondo album (Liverpool) come semplice band, svincolandosi dal produttore e confezionando un lavoro molto più onesto e vero, ma decisamente meno affascinante e compiuto, scomparendo subito dopo dalle scene.

La nuova ristampa che oggi celebra i 25 anni dell'album ha diversi meriti. Innanzi tutto, recupera finalmente, ed in modo sontuoso, tutto l'artwork originale. Non solo, ne aggiunge altro, proveniente dalle medesime sessioni di produzione. In secondo luogo, restituisce un audio perfetto ed all'altezza della stampa originale. Infine, acclude un secondo CD infarcito di extended versions e B-sides, qualcuna ancora incredibilmente inedita su CD nonostante l'enorme numero di singoli e raccolte messe sul mercato nel corso di questi 5 lustri.

Frankie says: ... (da completare a vostro piacimento)