31 dicembre 2012

Falco!!!

Ora vi racconto una storia, una storia molto semplice, alquanto banale e praticamente priva di una trama vera e propria.

Il protagonista è un ragazzino di 13 anni, l'anno è il 1985. Il ragazzino, che ovviamente sono io, è timido, curioso e ha qualche problema sul versante socializzazione. La sua visione del mondo ancora è molto libresca e ben poco reale, ma vuole a tutti i costi integrarsi con quei compagni così strani, tutti molto più adulti di lui, o almeno così gli paiono, e dunque quasi irraggiungibili nei loro discorsi misteriosi da cui lui resta inevitabilmente escluso.

Soprattutto però quel ragazzino timido è attratto dalla musica. La musica pop, si intende, perchè è quella la scoperta appena fatta. Prima c'è stata giusto un po' di musica classica, ma in casa non ci sono dischi, se non una vecchia raccolta di canzoni napoletane, un album di canti natalizi e, per motivi che a lui sfuggono, un solo disco di un solo cantante: Innamorarsi alla mia età di Julio Iglesias.

Alla radio però c'è un altro mondo. È il 1985, e non devo spiegarvi niente: c'è una tale esplosione di grandissimi inni pop che il nostro giovanotto problematico potrebbe esplodere di acne, se ne soffrisse. Mi pare di ricordare non ne soffrisse particolarmente, ma per prima cosa decide di comprare un disco di Madonna: Like A Virgin, un titolo ed una copertina che lui allora quasi non capisce, ma il turbamento è assicurato, anzi maggiore, e pure migliore, ammantato com'è di mistero e senso di profanazione di tabù nemmeno immaginati.

Il secondo album a 33 giri sarà Falco 3. Ma, in mezzo, una pletora di 45 giri che non si riesce neppure ad elencarli tutti: Eurythmics, Simple Minds, Ultravox, Duran Duran, e anche tanta robaccia che oggi quasi nemmeno più ce la ricordiamo, cose come Dan Harrow e Samantha Fox. I gusti ancora si devono formare, certi distinguo verranno dopo: è l'epoca della fascinazione, ogni cosa passi per radio sembra importante, i pochi spiccioli messi da parte vengono conteggiati fino a quando si raggiungono le 3000 lire necessarie, e via ad accaparrarsi la canzone mancante.

È anche l'inizio della fine: 27, quasi 28 anni dopo, ancora accumulo dischi. Ma questa è un'altra storia.

Quello che accade ad un certo punto in questa storia è che nel tredicenne, sempre più febbricitante per l'influenza da pop, si affaccia una curiosità: cosa sono quei dischi grandi come un 33 giri ma che si suonano a 45 giri? Sa che si chiamano "remix", ma il concetto gli è poco chiaro. Un compagno di classe, a sua volta poco informato ma abituato a millantare conoscenze che non ha, gli svela che sono elaborazioni elettroniche, lavori di sintesi, che i migliori li fa una certa casa discografica (?), e insomma lo lascia con le idee ancora meno chiare.

Il nostro allora decide di comprare, per forse 7000 lire di allora, quello che porta il tirolo di una canzone che lo fa letteralmente impazzire: Rock Me Amadeus, una hit di Falco dal gusto molto kitsch ma dai suoni potenti, impreziosita dalla voce caratteristica del cantante austriaco che lo colpisce particolarmente.

Il remix si rivela una bomba: la Salieri Version di Rock Me Amadeus, pur raccogliendo il peggio del peggio della cultura della remiscelazione anni '80 (ma anche qualche invenzione genialoide), sarà la porta per un mondo magico in cui la musica si offrirà non solo come materia fissata, come merce da subire, ma si disvelerà anche nella propria natura versatile, porgendo quella malleabilità che era prima insospettata e che da quel momento strizzerà l'occhio al protagonista (che ancora oggi spippola manopole, ahimè).

Quella particolare versione esisteva solo nel vinile del 1985, venduto negli anni '90. Mai ristampata in CD, appare oggi in questa raccolta di materiale di Falco nella serie So80s. Non ho resistito, e nonostante la natura ovviamente un po' dubbia dell'operazione, ho preso il doppio album.

Potevo restare senza Salieri Version? E già che ci siamo, senza il Metternich Arrival Mix di Vienna Calling o senza il Rough Mix di It´s All Over Now, Baby Blu? Certo, ho portato a casa anche tanta robaccia, ma il salto nel passato è stato impagabile.

Dopo quel remix, come già detto, presi il 33 giri di Falco, e poi qualcuno mi regalò Welcome To The Pleasure Dome dei Frankie Goes To Hollywood, che già apriva nuove strade, ma qualcosa iniziò a precipitare con l'acquisto di The Head On The Door dei Cure.

Beh, adesso vado a girare il ragù, pare sia l'ultimo dell'anno, ci vediamo nel prossimo.

CD1 - Der Kommissar (Extended Version) / That Scene (Ganz Wien) / Maschine brennt (Specially Remixed 12" Version) / Auf der Flucht (Specially Remixed 12" Version) / unge Roemer (Extended Version) / Rock Me Amadeus (Salieri Version) / Vienna Calling (The Metternich Arrival Mix) / Jeanny (Extended Version) / Coming Home (Jeanny Part 2, Ein Jahr danach) (Extended Version) / The Sound Of Musik (Extended Rock 'N Soul Version) / Emotional (Extended Version)
CD2 - Body Next To Body (Dance Mix) with Brigitte Nielsen / Wiener Blut (12" Remix) / Satellite To Satellite (Extended Remix Version) / Helden von heute (Extended Version) / Kann es Liebe sein? (Single Edit) with Désirée Nosbusch / Urban Tropical (Extended Version) / Männer des Westens – Any Kind Of Land (Extended Version) / It´s All Over Now, Baby Blue (Rough Mix) / Ganz Wien (Instrumental Single Version) / Junge Roemer (Dub Version) / Vienna Calling (The "Vienna Girls" Sax Mix Max) / The Sound Of Musik (Instru-Mental Version) / Emotional (Her Side Of The Story)


PS: dopo una carriera altalenante, ed una vita non priva di episodi complicati, Falco morì nel 1998, a poco meno di 41 anni, per un incidente stradale.

26 dicembre 2012

SPIN is dead, long live SPIN (via Google)

Ve la ricordate la rivista SPIN? Ma no, non ve la ricordate, perchè usciva solo negli States e da noi non è mai esistita. Se ve la ricordate è perchè siete o siete stati talmente intrippati di musica degli anni '80 e '90 che l'avete vista citata in articoli nostrani o nei libri di qualche critico musicale statunitense.

Dal primo numero del 1985 la rivista ha coperto la musica pop e rock americana ma anche quella britannica, con occhio molto attento alle nuove tendenze (spesso annunciate con largo anticipo rispetto alla concorrenza) e una notevole apertura ad elementi sociali che venivano trattati con un certo coraggio, soprattutto per una rivista destinata ad un pubblico di adolescenti degli Stati Uniti repubblicani.

Di recente SPIN ha chiuso i battenti come rivista cartecea, anche se continuerà la propria attività come testata online.

Ho però appena scoperto che sono accessibili, tramite Google Books, le scansioni pagina per pagina di tutte le uscite dalla prima di Maggio 1985 (con in copertina una foto di Madonna che resuscita il tredicenne che fui allora) all'ultima di Maggio-Giugno 2012.

Non sono solo le copertine e gli articoli di carattere musicale ad assumere carattere di riscoperta di un'epoca: tutto, dagli articoli di costume alla pubblicità (guardate quelle dei prodotti di elettronica!) narra di un mondo che fu e non sarà più, nel bene e nel male.






24 dicembre 2012

Buon Natale con Rowland & Lydia

Il Natale è notoriamente una merda, e nulla può redimerlo. L'unico Natale buono è un Natale morto, come l'unico matrimonio buono è quello in cui vengono offerti agli ospiti confetti di piombo.

Ok, diciamolo per chiarezza, "shotgun wedding" non fa riferimento, come si potrebbe pensare in un sussulto d'ignoranza, ad un matrimonio condito da una sparatoria, ma al classico "matrimonio forzato", quello dovuto per capirci ad una gravidanza non prevista e per la quale i parenti chiedono una "riparazione". Ma insomma, sempre di violenza di tratta, lo sposo rischia la pelle se non adempie, e quindi il concetto ben si accosta a 'sto maledetto 24 Dicembre che è una frzatura annuale a cui tocca sottoporsi in ogni caso.

Perchè sperpero retorica dozzinale per introdurre questo post? Perchè il disco in questione, Shotgun Wedding appunto, mancava all'appello della discografia ufficiale da anni e anni; era diventato insomma uno di quegli oggetti mitologici di cui si inizia anche a mettere in dubbio l'esistenza. Collaborazione tra Lydia Lunch e Rowland S. Howard, prodotto da Foetus nel 1991, l'album trasuda lacrime, droga, perdizione e disperazione come solo questo simpatico terzetto poteva riuscire a fare.

Non sapevo che fosse stato finalmente ristampato fino a quando non l'ho scovato casualmente nel pomeriggio pre-natalizio di oggi. L'edizione è impreziosita dall'aggiunta del singolo Some Velvet Morning e di una manciata di brani dal vivo. Quale migliore regalo poteva capitarmi? Certo, me lo sono pagato da solo, ma non stiamo troppo a sottilizzare, di questi tempi tutto fa brodo. Ora per favore non fate troppo casino che apparecchio la tavola, mi preparo una mono porzione di tortelli in brodo, mi riempio un bicchiere e mi sparo il CD a palla. Buon 'stocazzo anche a voi.

19 dicembre 2012

Scott Walker: Bish Bosch

Carriera lunga e complessa quella di Scott Walker, che si è dipanata nel corso di quarant'anni partendo dal pop dei primi album fino alla trilogia oscura e sperimentale di cui il nuovo Bish Bosch è il terzo capitolo.

Difficile pararne senza premettere che si tratta di un album ostico, astratto e in larga parte claustrofobico, il cui ascolto mette a disagio anche l'ascoltatore pià assuefatto a musica non convenzionale come il sottoscritto.

Non sorprende che sia stato accolto dalla critica come un capolavoro, e da gran parte del pubblico come qualcosa di sostanzialmente inascoltabile. La mia impressione è che Walker abbia intrapreso una strada non solo estremamente personale, ma anche volutamente impenetrabile, dall'alto di una esperienza che gli consente ormai, a settant'anni suonati, di fare quello che gli pare, fregandosene di ogni giudizio e soprattutto delle vendite, ormai al riparo da qualsiasi scossone commerciale.

A tratti è difficile seguire lo sviluppo delle composizioni, alcune lunghissime, e a momenti ci si chiede quale sia la logica che incastra ritmiche minimali, improvvise impennate heavy metal, e in generale sonorità catacombali sorrette dalla voce baritonale del cantante di origine statunitense.

C'è però un'energia non ignorabile in queste note, un afflato oscuro sì ma vitale come raramente capita di trovare in un'opera contemporanea. Da ascoltare con giudizio, quando l'anima è in grado di sostenere bordate che sembrano scaturire da squarci ultraterreni e per nulla confortanti. Altamente sconsigliato a praticamente chiunque abbia qualcosa da temere al mondo.

16 dicembre 2012

Cosette in arrivo nel 2013 (Wire, Nick Cave, Killing Joke)


Change Becomes Us è il titolo scelto dagli Wire per il loro quarto album dopo la reunion del 2003. La band ha dichiarato che il lavoro per il nuovo disco "è iniziato come una esplorazione di materiale mai registrato, scritto originariamente nel periodo 1979-80". L'uscita è prevista per il 25 marzo 2013 e sarà, come ormai consuetudine, per l'etichetta Pink Flag, di proprietà del gruppo.

La band si compone attualmente dei membri storici Colin Newman, Graham Lewis e Robert Grey, con l'aggiunta del nuovo chitarrista Matt Simms.

Il disco, che propone 13 brani, è già disponibile come pre-ordine, e a seconda della scelta dell'acquirente può essere accompagnato da una T-shirt, da una copia del volume "Read & Burn: A Book About Wire" di Wilson Neate, oppure, ad un prezzo ovviamente molto superiore, da una chitarra Eastwood Airline Seafoam di proprietà di Colin Newman.

È stato anche annunciato che la "Legal Bootleg Series", lanciata nel 2010, vedrà un secondo set di album live registrati tra il 1978 e il 2011. La lista include West Runton Pavillion (1978), Amsterdam – Roxy Music Tour (1979), Berlin (1979) Amsterdam (1987), Metropol, Vienna (1987), Mean Fiddler (1990), The Garage (2000), Scala (2008), German Tour (2009) e European Tour (2011).

Dopo varie speculazioni sulla possibilità che la band fosse ancora attiva, Nick Cave & The Bad Seeds hanno annunciato l'uscita del loro 15° album di studio per il 18 febbraio 2013. Il disco conterrà 9 brani ed avrà per titolo Push the Sky Away.

Nick Cave ha scritto sul sito dei Bad Seeds che il nuovo album "suona semplicemente nuovo, ma sapete, nuovo in quel modo vecchia scuola".

Il disco è stato registrato in un edificio del 19° secolo nel sud della Francia, col produttore Nick Launay. Il primo singolo, We No Who U R, non mi sembra aver risentito molto favorevolmente della location, suona infatti scialbo e piatto come nessun brano dei Bad Seeds a mia memoria.

Per quelli interessati alla faccenda dei formati (una follia dell'industria discografica che spero abbia presto fine) vi informo che anche quest'album si può pre-ordinare come standard CD, come vinile, come set CD/DVD, come box set deluxe (che include il vinile, il CD, il DVD, due singoli in 7" e una riproduzione in 120 pagine dei quaderni usati da Nick Cave durante la lavorazione dell'album).

Il 2013 vedrà il 35° anniversario dei Killing Joke, i quali hanno deciso di festeggiare a modo loro, ossia tirando fuori una raccolta di singoli che più completa non si può.

The Singles Collection: 1979-2012 uscirà il 15 aprile e sarà disponibile sia come edizione in 3CD (33 singoli nei primi due, e un terzo album di rarità), sia come edizione monstre da 34 CD, per il costo di circa 350€.

Se i vostri occhi reggono il listone di quanto incluso nella deluxe edition, ve lo propongo qui di seguito per intero. Non sto a soffermarmi su materiale quali libretto, poster ed altre amenità che saranno sicuramente in abbondanza.

CD 1
1. “Nervous System”
2. “Turn To Red”

CD 2
1. “War Dance”
2. “Pssyche”

CD 3
1. “Requiem”
2. “Change”

CD 4
1. “Follow The Leaders”
2. “Tension”

CD 5
1. “Empire Song”
2. “Brilliant”

CD 6
1. “”Chop-Chop”
2. “Good Samaritan”

CD 7
1. “Birds of A Feather”
2. “Flock The BSide”

CD 8
1. “Let’s All Go (To The Fire Dances)”
2. “Dominator”

CD 9
1. “Me Or You?”
2. “Wilful Days”

CD 10
1. “Eighties”
2. “Eighties” (Coming Mix)

CD 11
1. “A New Day”
2. “Dance Day”

CD 12
1. “Love Like Blood”
2. “Blue Feather” (Version)

CD 13
1. “Kings And Queens”
2. “The Madding Crowd (Remixed By Killing Joke)

CD 14
1. “Adorations”
2. “Exile”

CD 15
1. “Sanity”
2. “Goodbye To The Village”

CD 16
1. “America”
2. “Jihad”

CD 17
1. “My Love Of This Land”
2. “Darkness Before Dawn”

CD 18
1. “The Beautiful Dead”

CD 19
1. “Money Is Not Our God”
2. “North Of the Border”

CD 20
1. “Exorcism” (Live In King’s Chamber Cairo, Aug 1993 Mix)
2. “Whiteout” (The Intellect Is Ugly Remix) (Mandragora Edit)

CD 21
1. “Millennium” (Cybersank Edit)
2. “Millennium” (Cybersank Extended Remix)

CD 22
1. “Pandemonium” (Cybersank Edit)
2. “Pandemonium” (Cybersank Extended Remix)

CD 23
1. “Jana”
2. “Jana” (Dragonfly Mix)

CD 24
1. “Democracy” (Album Mix)
2. “Mass”

CD 25
1. “Loose Cannon”
2. “Wardance” (Ultimate Version)

CD 26
1. “Seeing Red” (edit)
2. “Seeing Red” (Jagz Kooner Remix w/vox)

CD 27
1. “Hosannas From The Basements Of Hell” (Radio Edit)
2. “Afterburner” (Alternative Version)

CD 28
1. “In Excelsis”
2. “Kali Yuga”

CD 29
1. “European Super State” (edit)
2. “European Super State” (Youth Remix)

CD 30
1. “Fresh Fever”

CD 31
1. “Ghosts of Ladbroke Grove”
2. “Ghosts of Ladbroke Grove” (Dub)

CD 32
1. “In Cythera” (Edit)
2. “Penny Drops”

CD 33
1. “Corporate Elect”
2. “New Uprising”
3. “In Cythera” (Bloody Beetroots Remix)

CD 34: RARITIES DISC
1. ‘Transient Place’
From ‘Freispiel: The Soundtrack’.
2. ‘Zennon’
B-side of ‘Loose Cannon’ single.
3. ‘Drug’
From the ‘Mortal Kombat’ soundtrack.
4. ‘Hollywood Babylon’ (longer intro mix)
From the ‘Showgirls’ soundtrack.
5. ‘Our Last Goodbye’
From the ‘Free The Memphis 3’ album.
6. ‘Sixth +Sun’
Unreleased track from the ‘Absolute Dissent’ sessions.
7. ‘Wardance’ (Naval Mix).
8. ‘Requiem’ (Acapella Mix).
9. ‘Pandemonium’ (Aotearoa Mix)
Full-length.
10. ‘Four Stations Of The Sun’
Studio version
11. ’Feast Of Fools’ (rough mix)
Unreleased track from the ‘Absolute Dissent’ sessions.
12. ‘iBuy’ – with Tim Burgess.
Track for Classic Rock collaborations CD.
13. ‘Timewave’ (rough mix)
Unreleased track from the ‘Absolute Dissent’ sessions.
14. Jaz & Youth Shamanic Ritual Live in the King’s Chamber Giza Pyramid
(Pre-recording vocals for 3.Pandemonium).
15. ‘Ravings of Jaz’
(A conversation on philosophy between Youth & Jaz circa 2003).
16. ‘Intellect’ (feat. Aboud Abdel Al)
Track from ‘Democracy’ (previously unreleased version featuring this celebrated violin player).

9 dicembre 2012

Mark Stewart back from the 80's

Ogni tanto la Mute si decide a stampare un po' di copie di qualcuno tra i titoli classici di cui è in possesso, e le mette in circolazione senza troppa pubblicità. Non si tratta propriamente di ristampe, visto che l'edizione è identica e formalmente non c'è neppure alcuna variazione nei codici che possa permettere di distinguere la nuova tiratura dalla precedente. È però evidente il fenomeno, vista l'improvvisa disponibilità di titoli dopo anni di sostanziale irrintracciabilità.

Quest'anno è stato il turno di diversi album dei Cabaret Voltaire, della discografia di Boyd Rice come NON, e adesso di due vecchi album di Mark Stewart.

Il primo è l'omonimo del 1987, capitolo terzo della carriera solista di Stewart, ed è una vera e propria gemma del dub industriale, un disco che fa del plagiarismo la propria missione e che aprirà la strada agli anni '90 influenzando massicciamente le tendenze elettroniche del decennio a venire. Molto materiale è rubato e rimasticato in una modalità all'epoca del tutto rivoluzionaria. Basti citare Stranger, una traccia basata su un frammento delle Gymnopédies di Eric Satie e che sostanzialmente inventa il trip-hop (ascoltare per credere).

Il secondo è Metatron del 1990, un album meno riuscito, esempio di quanto spesso i maestri, dopo aver spianato la strada, non riescano a volte a sfruttare in modo originale le proprie stesse intuizioni. Il dub presentato nelle otto tracce del disco è efficace e a tratti trascinante ma non aggiunge molto di nuovo a quanto già realizzato, e suona stavolta un passo indietro rispetto a quanto accadeva nell'anno in corso. Non per questo meno meritevole di essere acquisito nella discografia dell'ex leader del Pop Group.


2 dicembre 2012

TOY?

Scopro solo adesso da Wikipedia che i Toy sono stati la band di supporto degli Horrors nel 2011.
La cosa non mi sorprende perchè il mio primo pensiero al contatto con questo disco è stato che mi faceva venire alla mente una versione inebetita degli Horrors.

L'ho ascoltato per quella curiosità che a volte - non poi così spesso - mi coglie di fronte all'hype improvviso generato attorno ad un nome sconosciuto. Di questa band e del suo esordio non sapevo nulla fino a quando non sono stati lanciati con toni a volte addirittura entusiastici e da più parti (cito Rolling Stone sul versante italiano e NME su quello britannico) come la nuova rivelazione dell'indie-alt-qualcos-rock.

L'album contiene molta psichedelia, spruzzatine di shoegaze, qualche richiamo al krautrock (ribadisco: richiami, niente di più) ma, una volta spogliato degli arrangiamenti, si scopre quanto sia basato soprattutto su canzoncine di feroce allegrezza che non riesco a digerire nemmeno sotto allucinogeni (non ho provato, ma lo so).

Magari è una attitudine eccessiva all'ombrosità, magari è snobismo intellettualistico, ma magari è solo incapacità di comprendere perchè fare musica allegrotta travestendola da roba per alternativi. Forse perchè di questi tempi va di più? Forse.

24 novembre 2012

Il Battiato stagionato

Ogni volta che esce un album di Franco Battiato, vedo schierarsi due opposte fazioni: quelli per i quali ogni opera del Maestro è eccezionale a prescindere, e quelli che pur con qualche distinguo storcono il naso per i testi, ritenuti colpevoli di vacuo intellettualistimo e indigeribile misticismo.

Onde non aggiungermi a tale stantìa diatriba (e pur affermando di striscio che condivido qualche dubbio nei riguardi della collaborazione sgalambriana), mi concentrerò sull'aspetto musicale di questo nuovo Apriti Sesamo.

L'album giunge a 5 anni dal precedente Il Vuoto, un tempo piuttosto lungo per il musicista siciliano (non calcolo Fleurs 2 ne' Inneres Auge trattandosi di album di rivisitazioni proprie e altrui). Sembra che in questo lasso di tempo Battiato abbia deciso di dare una sostanziale svolta al proprio stile compositivo, ed è questa la novità che più mi intriga a prescindere dall'analisi delle liriche.

La produzione "pop" di Battiato, a partire dall'ottimo Caffè de la Paix (che risale ad ormai quasi due decenni or sono), si era infatti caratterizzata per una forte connotazione elettronica, mostrando spesso caratteristiche di avanguardia nell'uso originale della strumentazione di studio e per commistioni molto interessani tra pulsazioni di sequencer, sprazzi di sintetizzatori e inserti molto più classici.

Questo disco sembra voler chiudere quella stagione, tornando ad arrangiamenti meno elettronici e più vicini a quelli degli anni '80, almeno nei risultati sonori, visto che oggi è spesso difficile risalire a quali strumenti effettivamente eseguano cosa, ma l'aver affidato le parti di basso a Faso (che per i meno attenti ricordo essere il bassista di Elio e le Storie Tese) e quelle di batteria a Gavin Harrison (batterista dei Porcupine Tree) non è certo una scelta casuale.

L'album si discosta dunque dai precedenti in modo marcato, con soluzioni che possono piacere o meno ma rappresentano una voglia di innovarsi che in un musicista in età ormai certo non giovanissima, e con una lunga e blasonata carriera alle spalle, non è da dare per scontata, soprattutto in un paese che soffre di tradizionalisimi come l'Italia.

Ai primi ascolti non sono entusiasta come lo fui ai tempi di Dieci Stratagemmi qualche anno or sono, ma a naso si tratta di un'opera che crescerà con il tempo.

PS: una cosa che invece non digerirò facilmente, è l'orrenda copertina, una scelta che nasconderà forse un messaggio estetico di profondissimo valore, ma che nella realizzazione sembra solo dettata da una sconfortante sciatteria.

18 novembre 2012

Nuovo Wovenhand, con furore

Quando arriva qualcosa a nome Wovenhand, o con lo zampino di David Eugene Edwards, mi fiondo senza troppa riflessione.

E quindi eccomi tra le mani il nuovo album, che si presenta col brillante titolo The Laughing Stalk * e con una parimenti brillante (in senso fisico) copertina dai toni cangianti che  mal si presta ad essere riprodotta in foto (maneggiare per credere).

Due segnali fanno comprendere quale fosse la voglia di novità di Edwards per questo sesto album. Il primo è la produzione affidata ad Alexander Hacke (noto soprattutto per la militanza negli Einstürzende Neubauten); il secondo è la rivoluzione dell'organico, che vede la dipartita di Pascal Humbert (già nei 16 Horsepower, in formazione Wovenhad dai tempi di Mosaic), sostituito dal nuovo bassista Gregory Garcia Jr, e l'ingresso del secondo chitarrista Chuck French.

Grazie a queste novità, Laughing Stalk suona decisamente più duro e rumoroso della media degli album precedenti, affiancandosi forse al solo Ten Stones che nel 2008 aveva rappresentato una variante più robusta del classico mix di folk, reminiscenze gothic e alt rock all'americana tipico della band.

Il risultato mi trova però solo parzialmente soddisfatto. Pur apprezzando l'idea di non ripetere stancamente la propria formula, trovo che gli arrangiamenti e in particolare l'arricchimento del suono con la seconda chitarra non siano sempre funzionali all'equilibrio delle composizioni. Funziona alla perfezione sulla traccia di apertura Long Horn, o sul country-punk alla Gun Club di As Wool, ma lascia qualche perplessità su brani come In The Temple che avrebbe forse goduto maggiormente del solito trattamento Wovenhand.

Il meglio questa formazione lo dà probabilmente nell'intensa, cupa e ipnotica Maize, ma anche nella conclusiva e più variegata Glistening Black, ottimo epitaffio per un'opera forse un po' fuori fuoco ma che evita brillantemente il ristagno che si poteva temere dopo The Threshingfloor (un album che, come dicevo due anni fa, sapeva molto di già sentito).



* (storpiatura dell'espressione idiomatica laughing stock che sta ad indicare lo "zimbello del paese", un modo di dire derivante dall'abitudine tardo medievale di assicurare per le caviglie o per i polsi ad assi di legno - gli "stock", appunto - coloro che per colpe di non grave entità venivano esposti al pubblico ludibrio agli angoli delle strade).

10 novembre 2012

Bat For Lashes, bianco e nero

Natasha Khan giunge al terzo capitolo della sua produzione sotto lo pseudonimo Bat For Lashes, proponendoci questo bel dischetto che è The Haunted Man. Dico subito che l'album è molto godibile e non deluderà chi aveva amato il secondo, ma devo anche sottolineare che lascia irrisolti gli interrogativi sulla direzione musicale e sull'identità artistica che erano già sorti in passato.

Se da una parte l'album si presenta con una copertina basata su una semplice, seppur splendida, foto "naked" e in b&w, un segno di rottura rispetto all'immagine di Bat For Lashes costruita sulle coloratissime e strutturate copertine dei due album precedenti, dall'altra parte conferma, una volta messo nel lettore, una certa difficoltà dell'artista inglese nell'affrancarsi dai propri modelli.

Nonostante un evidente sforzo nella semplificazione degli arrangiamenti, che sono più spogli e lasciano modo alle canzoni di venir fuori non appesantite da stratificazioni inutili, sono proprio le scelte compositive e l'uso della voce a riportarmi continuamente alla mente le diverse cantanti alle quali Khan viene inesorabilmente accomunata, su tutte Kate Bush (quella della metà anni '80) e Tori Amos (quella dei primi album). Nulla di male, naturalmente, anzi posso dirmi ben felice di trovare riferimenti a simili illustri esempi in un album pop del 2012. Mi è però difficile, e penso lo sia per qualsiasi ascoltatore dall'orecchio non vergine, farmi un'idea di cosa sarebbe Bat For Lashes senza questi rimandi.

Rimandi che sono tra l'altro inevitabili e probabilmente nemmeno percepiti dalla stessa autrice, la quale ha già certamente il suo bel daffare a rimuovere l'handicap di partenza della propria femminilità, una connotazione che in campo musicale, checchè si sia nel 2012 (anzi la situazione sta forse peggiorando), è sempre difficilmente spendibile se non si vuole puntare su movenze sexy o su banali strimpellamenti folk sentimentali su quanto sia brutto essere mollate dal tipo.

Una nota di merito per i brani più orecchiabili: Laura è un esempio di come si possa essere passati in radio con una canzone canticchiabile ma anche intrigante e non banale. Brava Natasha.

31 ottobre 2012

Einstürzende Live 90: Rockpalast

Veloce nota di servizio: è in arrivo tra pochi giorni (uscita prevista il 12 novembre) una edizione in CD e DVD del concerto tenuto dagli Einstürzende Neubauten, nel lontano 1990, per lo show TV della televisione tedesca Rockpalast.

Oggetto in questi 22 anni di bootleg e uscite non ufficiali di vario genere, lo show comprende 16 brani ed è uno dei favoriti della band industriale germanica.

Pare tra l'altro che non si tratti dell'unica uscita live all'orizzonte per i Neubauten. Sarebbe infatti in cantiere, come annunciato dalla band in un'e-mail ai fans, un altro DVD con concerti dall'ultimo tour, il 3 Decades Tour.

Per quest'ultimo non ci sono ancora dettagli disponibili, mentre per il Live At Rockpalast 1990 trovate la scaletta qui di seguito.

1. Prolog
2. Feurio
3. Der Tod ist ein Dandy
4. Sehnsucht
5. Armenia
6. Yu Güng
7. Zerstörte Zellen
8. Trinklied
9. Ich bin’s
10. Stuhl in der Hölle
11. Der Kuß
12. Haus der Lüge
13. Kein Bestandteil sein
14. Zeichnungen des Patienten O.T.
15. Sand
16. Ich bin das letzte Biest am Himmel

28 ottobre 2012

Mick Harvey live



Di solito non faccio riprese ai concerti, anzi da un po' ho smesso anche di portarmi la macchina fotografica: odio quella distesa di display luminosi che inquinano l'ambiente dei live da qualche anno a questa parte.

Ma stavolta ero nella saletta piccola del teatro Dal Verme di Milano, in cui non potevo dare alcun possibile fastidio a chi stava dietro. E allora un paio di pezzi li ho catturati. Ecco qua Photograph, peccato mi sia lasciato scappare October Boy.

25 ottobre 2012

The Seer, il fiume in piena degli Swans

Accingermi a scrivere le righe che seguono mi ha portato alla mente la famosa frase che sostiene che "parlare di musica è come ballare di architettura" (attribuita a Frank Zappa ma anche ad una mezza dozzina di altri).

Non che questo sia vero per gli Swans più che per chiunque altro, o per questo particolare disco più che per qualsiasi altro. Forse è giusto ammettere che sono intimidito dal materiale sonoro di quest'album perché temo di dire cose molto scontate, sciocche e banali. Come faccio sempre, probabilmente.

Comincio allora dalla più scontata: Mr Gira ha sorpreso tutti con quest'album, soprattutto dopo il precedente My father will guide me up a rope in the sky, che nel 2010 aveva segnato il ritorno in studio degli Swans dopo quattordici anni di silenzio. Laddove infatti quest'ultimo era stato un album di canzoni dalla durata relativamente breve, dove veniva dato grande spazio a liriche complesse, qui a farla da padrone sono le lunghissime parti strumentali, con il cantato relegato quasi sempre in coda a fare quasi da chiosa ad ondate di materia sonora che mescolano folk apocalittico, post rock, psichedelia e ripetizioni dal sapore doom.

Un po' come a sottolineare una totale libertà stilistica, il musicista americano si svincola dunque dalla prova precedente, che aveva goduto di ottima critica, e si lancia nel vuoto con una raccolta che richiede un'assimilazione ben più complessa. Ma paradossalmente non è un materiale che respinga, come ai tempi delle prime uscite nei lontani anni '80, dove la sperimentazione conduceva a dissonanze e momenti di strazio sonoro, allora strumentali ad una espressività che era necessaria per discostarsi dalle follie di plastica del tempo corrente. Oggi Gira è un artista che si dice più maturo e consapevole, ed anche più sereno, condizione che si riflette in una migliore fruibilità anche delle sue composizioni meno facili.

Ci ho messo del tempo ad accettare che queste due ore di musica siano al contempo così ostiche e così attraenti, così complesse e così digeribili. Come pure pare strano che gli Swans nel 2012 possano ancora firmare un'opera tanto significativa, come se per loro il tempo non fosse un ostacolo ma anzi un alleato. Gira, ormai cinquattottenne, ha dichiarato che "ci sono voluti 30 anni per realizzare un album come questo" e che The Seer rappresenterebbe "la summa di tutti i precedenti dischi degli Swans e di tutta la musica che ho realizzato fino ad oggi". A me pare addirittura che prescinda da tutta la musica realizzata fino ad oggi, il che è ancora più incredibile.

23 ottobre 2012

Depeche Mode 2012-2013: new song, new album, new tour




Oggi c'è stata l'attesa conferenza stampa dei Depeche Mode a Parigi, e tra le altre cose (chiacchiere di poca importanza, a dire il vero) è saltato fuori questo video con una canzone nuova, per ora senza nome ma dal possibile titolo Angel of Love.

Il nuovo album del trio anglosassone dovrebbe uscire nella prossima primavera, e a detta di Martin Gore “c'è un po' del feel di Violator su alcune canzoni e un po' del feel di Songs of Faith and Devotion su altre” aggiungendo che a suo modo di vedere si tratterà di “un po' un ibrido di quei due album”.

Sembra però un'affermazione cucinata per tutti quanti si sono lamentati di Sounds Of The Universe. Sentendo il pezzo nuovo, non mi pare ci sia molto da stare allegri, ma magari ci sarà qualche sorpresa - anche se non ci spero più molto.

Dopotutto, non si può essere grandi per sempre, e diciamo che anche i grandissimi prima o poi potrebbero chiudere bottega per onore alla gloria passata (una bella colonia estiva permanente per Martin, Dave e Robert Smith... vabbè, lasciamo perdere).

Comunque, è stato annunciato anche un lungo tour mondiale, con due appuntamenti in Italia a luglio 2013. Vi copiaincollo brutalmente tutte le date qui di seguito.

May 7: Hayarkon Park, Tel Aviv, Israel
May 10: Terra Vibe, Athens, Greece
May 12: Georgi Asparuhov Stadium, Sofia, Bulgaria
May 15: National Stadium, Bucharest, Romania
May 17: Kucukciftlik Park, Istanbul, Turkey
May 19: Usce Park, Belgrade, Serbia
May 21: Puskas Ferenc Stadium, Budapest, Hungary
May 23: Hippodrome, Zagreb, Republic of Croatia
May 25: Inter Stadium, Bratislava, Slovakia
May 28: O2 Arena, London, England
June 1: Olympic Stadium, Munich, Germany
June 3: Mercedes-Benz Arena, Stuttgart, Germany
June 5: Commerzbank Arena, Frankfurt, Germany
June 7: Stade De Suisse, Berne, Switzerland
June 9: Olympic Stadium, Berlin, Germany
June 11: Red Bull Arena, Leipzig, Germany
June 13: Parken, Copenhagen, Denmark
June 15: Stade De France, Paris, France
June 17: Imtech Arena, Hamburg, Germany
June 22: Locomotive Stadium, Moscow, Russia
June 24: SKK Arena, St. Petersburg, Russia
June 27: Peace & Love Festival, Borlange, Sweden
June 29: Olympic Stadium, Kiev, Ukraine
July 3: Esprit Arena, Dusseldorf, Germany
July 7: Rock Werchter Festival, Werchter, Belgium
July 11: BBK Festival, Bilbao, Spain
July 13: Optimus Alive Festival, Lisbon, Portugal
July 16: Antic Arina, Nimes, France
July 18: San Siro Stadium, Milan, Italy
July 20: Olympic Stadium, Rome, Italy
July 23: Olympic Stadium, Prague, Czech Republic
July 25: National Stadium, Warsaw, Poland
July 27: Vingis Park, Vilnius, Lithuania
July 29: Minsk Arena, Minsk, Belarus

20 ottobre 2012

My Love Takes Me There (to Crime And The City Solution)

A 22 anni dall'ultimo album in studio, il cantante australiano Simon Bonney ha inaspettatamente deciso di resuscitare i Crime and the City Solution. Ai tempi il gruppo ebbe diverse incarnazioni ed incluse membri dei Birthday Party, degli Swell Maps e degli Einstürzende Neubauten, con unica costante lo stesso Bonney.

Mai giunti al successo conosciuto da altri artisti provenienti dalla stessa scena - penso ovviamente a Nick Cave - i Crime and the City Solution sono stati una band di culto, con all'attivo 4 album ed una partecipazione alla colonna sonora di Until the End of the World con il brano The Adversary.

I piani per la band sono un tour (già iniziato questo mese), una compilation, appena uscita col titolo A History of Crime (Berlin 1987-1991), e un album in studio che verrà pubblicato, secondo quanto annunciato dalla Mute, agli inizi del 2013, col titolo American Twilight.

Notevole la formazione raccolta da Bonney per questa nuova incarnazione della sua creatura: dall'ultima formazione degli anni '80 tornano il violinista Bronwyn Adams e il chitarrista Alexander Hacke, già negli Einstürzende Neubauten. A loro si aggiungono l'artista visuale Danielle de Picciotto, il batterista dei Dirty Three Jim White, l'ex bassista dei Dirtbombs Troy Gregory, il tastierista Matthew Smith e, ultimo ma decisamente non ultimo, il chitarrista dei 16 Horsepower e dei Woven Hand, David Eugene Edwards.

La prima traccia disponibile da American Twilight lascia sperare in un album decisamente interessante. Ecco dunque a voi My Love Takes Me There.

14 ottobre 2012

Clan Of Xymox, è tempo di cover

Per alcuni artisti la tentazione della cover pare essere irresistibile, tanto più quanto maggiormente si è raggiunta una solida reputazione come autore, e penso ad esempio al recente album di Iggy Pop.

Questa volta è il turno dei Clan of Xymox, alias ormai il solo Ronny Moorings, il quale da molti anni si occupa senza praticamente alcun apporto esterno di composizione, registrazione ed arrangiamenti delle tracce che vengono pubblicate a nome della venerabile band dell'underground electro-dark olandese.

La domanda è scontata ma tocca porsela: a cosa serve un disco di cover? Di solito praticamente a nulla, se non a dare un paio di brani dal sapore esotico da mettere in scaletta nei live. Ma questo si può fare anche senza pubblicare una raccolta di versioni di brani altrui. In rarissime occasioni una cover è interessante, e non parliamo di quante volte può essere considerata migliore dell'originale.

Detto ciò, la cosa che mi ha lasciato più perplesso è stata la scaletta (riportata in fondo a questo post), basata massivamente su grandi classici goth. Che bisogno ci può essere per la milionesima cover di A Forest dei Cure? E infatti la versione qui presentata non aggiunge nulla all'originale (a meno che non si ritenga notevole il rimpiazzo del basso di Gallup con un suono decisamente elettronico).

Comunque, osservato per inciso che il sound scelto per l'album è quello più dance, del periodo Breaking Point, per capirci, e che la scelta è sensata, vista la destinazione naturale di questi brani sulla pista da ballo, proviamo a valutare la riuscita delle re-interpretazioni. Laddove è stata abbracciata la tattica della pura clonazione, si ritrovano risultati quasi inquietanti: Alice è praticamente sovrapponibile all'originale dei Sisters Of Mercy, timbro di voce incluso (Moorings la canta con l'impostazione usata nel bellissimo Creatures). Più interessante allora la versione di Venus degli Shocking Blue (già famosa nella versione delle Bananarama), che si discosta dall'originale sia per sonorità che per una lieve modifica del testo, o il recupero della dimenticata Is Vic There? dei Department S (band tocca-e-fuggi della prima new wave).

Il migliore risultato però è probabilmente quello ottenuto con Creep, che viene rivitalizzata nella versione CoX con un arrangiamento che la trasforma il tanto che basta ma ne mantiene inalterata la bellezza. Impeccabili, ma molto scolastiche, le interpretazioni di Joy Division, New Order e Depeche Mode, mentre è interessante ma già edita quella di Heroes di Bowie, uscita qualche anno fa in EP. Non eccezionali a mio parere quelle di Something I Can Never Have dei Nine Inch Nails e di Red Light di Siouxsie, quest'ultima affidata per la parte vocale a Mojca (collaboratrice e compagna di Moorings).

Ma dove c'è gusto non c'è perdenza, e allora se l'album può essere gradevole per i fan del Clan, o utile ad attirarne di nuovi, ben venga. Sicuramente qualcuna di queste tracce animerà le nottate dei club alternativi europei.
  1. Venus (Shocking Blue)
  2. Alice (The Sisters of Mercy)
  3. Is Vic There? (Department S)
  4. A Forest (The Cure)
  5. Something I Can Never Have (Nine Inch Nails)
  6. Red Light (Siouxsie and the Banshees)
  7. Decades (Joy Division)
  8. Heroes (David Bowie)
  9. A Question Of Time (Depeche Mode)
  10. Creep (Radiohead)
  11. Blue Monday (New Order)

6 ottobre 2012

Superluminal

Dopo essere stati per qualche anno un combo elettronico con forti influenze dub e trip hop, con qualche puntata nel lounge (il vertice di questo primo periodo è l'oscuro Cargo, ma la fama  giunse con un brano remixato da Richard Dorfmeister, l'arcinota Sofa Rockers), gli austriaci Sofa Surfers sono approdati ad una seconda vita dal 2005, ossia da quando si sono dotati di un vocalist (l'eccezionale Mani Obeya) ed hanno abbracciato un filone molto più caldo, con venature rock e soul, che avrà spiazzato qualche seguace della prima ora ma ha sicuramente deliziato le mie orecchie (pur appartenendo io stesso al novero dei fan della prima ora).

Dall'omonimo Sofa Surfers del 2005 a Blind Side del 2010 c'era già stato un crescendo di amalgama compositivo e di intensità emotiva, paragonabili solo forse all'eccellenza del genere, ossia ai Massive Attack di Mezzanine. Temevo dunque che il nuovo album potesse deludermi, come capita a volte dopo che una band ha raggiunto i propri vertici.

Non potevo ricevere smentita più decisa: il nuovo Superluminal è una raccolta sorprendente, una sequenza perfetta di brani straordinari che potrebbero (in un mondo ideale, non in questo) ambire ad essere altrettanti singoli ammazza classifica. E, ci tengo a sottolinearlo, usualmente non cedo facilmente all'iperbole (e sempre meno mi capita col passare degli anni e l'accumularsi degli ascolti).

Trame avvolgenti, basi minimali dal groove asciutto ma irresistibile, sonorità in bilico tra soul e trip hop, la voce di Obeya che tocca l'anima, il guest vocalist Jonny Sass che a metà scaletta spezza opportunamente la possibile ripetitività stilistica fornendo un apporto al livello del collega. Certo, i toni restano sempre moltp scuri, e questo potrebbe non incontrare i gusti di tutti. Ma i miei certamente si, anzi ci sguazzo facendo le fusa come un gatto sul calorifero in una serata autunnale.

01 – Out, Damn Light feat. Mani Obeya
02 – Valid Without Photo feat. Mani Obeya
03 – Word In A Matchbox feat. Mani Obeya
04 – Edgelands feat. Mani Obeya
05 – Broken Together feat. Mani Obeya
06 – In Vain feat. Jonny Sass
07 – Begin (The Shadow Line) feat. Mani Obeya & Jonny Sass
08 – Bound feat. Jonny Sass
09 – Superluminal feat. Mani Obeya
10 – Glitches, Crashes & Ashes feat. Mani Obeya

29 settembre 2012

xx2

Acclamati dalla critica tutta all'epoca del primo bell'album omonimo come insperata ventata di freschezza in una scena indie avvitata su cliché stantii, i giovanissimi xx (da scrivere rigorosamente minuscolo) erano attesi come di norma al varco del secondo album, con aspettative probabilmente eccessive.

Non biasimo dunque il gruppo londinesi se ha atteso tre anni prima di dare alle stampe questo nuovo Coexist, e non mi sorprende neppure che le scelte sonore, a dispetto di annunci e indiscrezioni che volevano una sterzata di stampo più elettronico, siano sostanzialmente ferme a quelle del precedente album omonimo.

Ridotti a terzetto dopo l'uscita della chitarrista e tastierista Baria Qureshi (a quanto affermato dai tre superstiti, si sarebbe trattato di una scelta del gruppo più che di un abbandono spontaneo), gli xx hanno scelto di puntare nuovamente su bozzetti minimali, armonie esili sostenute da poche note strumentali e una sostanziale predominanza dell'intreccio tra le voci sussurrate di Oliver Sim e Romy Madley-Croft.

Il disco è gradevole ma non raggiunge i vertici del primo. Il problema principale sta in una certa piattezza del materiale proposto, che è troppo omogeneo e non presenta grande diversità ad eccezione di due brani soltanto che spiccano sul resto: Fiction e Missing.

Devo dire di non essere deluso perchè non mi aspettavo nulla: troppo esile la formula per consentire di dare un seguito solido alla manciata di canzoni del 2009, troppo alte le attese per permettere alla band di sterzare troppo da quella formula. Vedremo al terzo giro, magari tra qualche anno.

Ah, un'ultima cosa: vorrei dire a quelli della Young Turks Records che rifare una copertina sostanzialmente uguale alla precedente, cambiandone solo i colori, non è un'ideona. Se lo avesse fatto qualcuno nei primi '80 (ve lo immaginate Closer con la copertina di Unknown Pleasures in bianco e nero invertiti?) gli avrebbero tirato le verze. Giusto per dire.

16 settembre 2012

Death Box, malloppone per i fan di Rozz

Ancora una volta l'americana Cleopatra Records riesce nel doppio obiettivo di fare opera meritevole da un lato e di far storcere il naso ai puristi dall'altro.

L'opera meritevole, questa volta, consiste nella ristampa di tutto il materiale dei Christian Death degli anni '90 con Rozz Williams, con un ricco book da 50 pagine ad accompagnare il contenuto musicale.

La scelta discutibile è invece quella di aver ficcato tutto quanto in un box di 5 CD, senza alcun rispetto per il formato di pubblicazione originario da cui proviene il materiale proposto.

Col risultato che i vecchi fan, già in possesso di buona parte dei dischi qui raccolti, o si comprano tutto il box per recuperare una manciata di tracce (a prezzo abbordabilissimo, va detto: poco più di 30 euro); oppure lasciano perdere e continuano a cercarsi quel disco originale che gli manca in collezione, ben sapendo che la Cleopatra a ristamparli uno ad uno con la rispettiva grafica d'origine non ci pensa nemmeno (salvo farlo a sorpresa tra qualche anno).

Esaurite le mie valutazioni da collezionista psicopatico, vado a elencarvi quanto viene assemblato in questo Death Box (titolo di grande originalità, nevvero). Chi siano i Christian Death e Rozz Williams, beh, se non lo sapete non vi interessa nulla di quanto qui esposto. Ascoltatevi il fondamentale Only Theatre of Pain (1982) e poi fatevi risentire.

CD1
Iron Mask (1992): l'album di rientro di Rozz alla testa di una band col nome Christian Death, che compila nuove registrazioni di vecchi brani.
Skeleton Kiss (1992): EP con due remix della title track, un altro remix e un brano live
The Original Shadow Project (1990): l'inclusione di questo EP è discutibile, in quanto formalmente attribuito ad un'altra band (che ha dato vita a sua volta a 3 album), ma storicamente fu questo il punto di origine che diede vita ai nuovi Christian Death di Rozz
CD2
The Path Of Sorrows (1993): il primo album di studio composto di brani originali
Invocations (1994): di questo album, raccolta di studio outtakes e live del periodo 81-89, vengono qui inclusi solo i brani di studio; una scelta comunque poco coerente con l'ordine cronologico
CD3
The Rage Of Angels (1994): il secondo album di studio di brani originali
Death In Detroit (1995): raccolta di remix
CD4
Death Mix (1996): remix album
CD5
Sleepless Nights (1990): live album
Every King A Bastard Son (1992): album solista di Rozz, qui incluso senza logica alcuna...
DVD
Live In Los Angeles (1993): il live del decennale, con la formazione originale del periodo 83/84

Ingrandite l'immagine per le tracklist nel dettaglio:

10 settembre 2012

Eterni Rush

Ci sono band che si amano molto ma che non si riesce ad ascoltare in modo continuativo. per cause che non sempre risiedono solo nell'abbondanza di alternative - come nel mio caso di ascoltatore onnivoro - ma anche nella saturazione o, più semplicemente, nella necessità di far aderire le proprie preferenze a fasi della vita, a periodi interiori, ad atmosfere che vanno e vengono.

Nella mia vita i Rush sono stati l'incarnazione esatta di questa tipologia, per il loro carattere così particolare, così riconoscibile e quindi anche così inadatto ad essere un abito per tutte le stagioni. Li ho ascoltati dunque a sprazzi, negli ultimi vent'anni, alternando periodi di semi-fanatismo ossessivo a fasi di oblio quasi totale.

Perchè questa premessa? Per ribadire, prima di sviscerare questa ultima fatica della band canadese - diciannovesimo album in studio, ventesimo se si vuole contare anche l'EP di cover del 2004 - che i Rush sono irrimediabilmente i Rush, che alcune loro caratteristiche non sono mutabili nel tempo, che ogni loro album è una festa per le orecchie di un qualsiasi musicista attento ai dettagli ed all'intelligenza, e che quindi a) il mio giudizio dipende dalla mia atmosfera attuale b) quanto segue è solo una disanima su una ennesima modulazione della medesima portante.

I rush sono stati un gruppo fecondo, come testimonia il già citato numero di album all'attivo, che ha distribuito le proprie uscite al ritmo di circa una all'anno nei primi dieci anni di storia (1974-1984, quando un disco all'anno era obbligatorio per tutti), poi ancora 6 nei 10 anni seguenti (1985-1996), salvo poi diradare le uscite ad appena 3 nei 16 anni successivi: il discusso Vapor Trails del 2002 (un album masterizzato a volumi insani, e forse il più lontano dal tipico suono Rush); l'altalenante Snakes & Arrows del 2007, e infine questo Clockwork Angels fresco fresco di 2012. Uscite centellinate a ritmo di lustri, che hanno generato aspettative forse fuori luogo, ma prevedibili per una band così amata da un vasto zoccolo duro di fan intransigenti.

Per quest'ultima ragione non mi sorprese l'entusiasmo generato, circa un anno fa, dall'anteprima dei primi due brani in scaletta: sono due composizioni di purissima scuola Lee-Lifeson-Peart, progressive e ariose, caratterizzate da groove intricati, progressioni ben studiate, sonorità potenti ma ben dosate, e dalla scelta, gradita a molti appassionati, di non usare tastiere e di tornare ad una assoluta predominanza dell'elettrica contro l'uso estensivo dell'acustica del lavoro precedente. Il disco però non mantiene al 100% quanto promesso da quelle due anteprime. Ci sono altre canzoni nella stessa vena, ma anche una certa abbondanza di pezzi dalle sonorità più radiofoniche e - mi si perdoni l'accostamento - molto più AOR che prog. Non che questa sia una novità, ma per i gusti personali di chi scrive si tratta di cadute nella noia più totale, nelle quali il timbro vocale di Geddy Lee non fa che peggiorare la situazione.

Ciò detto, si tratta ugualmente di un album superlativo, soprattutto per un terzetto di sessantenni. Questi tre signori suonano come se avessero ancora trent'anni, con uno spirito, un'energia ed una voglia di stupire (innanzi tutto se' stessi) che sembra sinceramente incredibile. Ecco, questa loro positività, è questo che a sprazzi mi impedisce di ascoltarli a ritmo continuo. Non c'è nulla che mi imbarazzi come la positività. Ciò detto, eterna vita ai Rush.

2 settembre 2012

WIXIW, LIARS #6

WIXIW è il titolo palindromo del sesto album dei Liars, nonchè una sgangherata onomatopea per "Wish you".

Nella passione per questo tipo di giochini e per la grafica enigmatica degli album c'è tutta l'anima dei Liars, e questo vale sia in positivo che in negativo.

Del loro essere sommario delle influenze alternative più disparate, una sorta di sussidiario delle tendenze sonore più estreme dagli anni '70 ad oggi, avevo già detto all'epoca dell'uscita del precedente Sisterworld.

Non starò dunque a dilungarmi ancora sulla sensazione di "bello ma inutile", la evolvo però in "non male ma dimenticabile", nel senso che anche questo disco non riesce in alcun modo a piantarsi nella mia memoria, e quindi non riesce a farsi riascoltare (un paradosso solo apparente).

Eppure l'ho acquistato perchè era stato messo come sottofondo in un negozio di dischi, e mi son detto: "bello questo, cos'è?", insomma non l'ho ascoltato solo perchè erano i Liars, è stata proprio la musica in se' a colpirmi, un evento non molto frequente soprattutto di questi tempi. Solo che poi l'ho portato a casa, l'ho sentito un paio di volte, e ancora mi fa quell'effetto sfuggente, di musica rarefatta, che come il vapore vedi per qualche istante ma poi ti sfugge tra le dita e in un attimo non c'è più.

Lo fanno apposta? Sono troppo scarsi per fare musica più consistente? O sono talmente geniali che riescono a incarnare alla perfezione lo spirito di un'epoca impersonale, imitativa, senz'anima?

Sui Liars ho solo domande, insomma, e forse il senso della band è proprio questo, a partire dal nome: essere ingannevolmente evocativa, inafferrabile e forse anche disonesta.

Aggiungo solo due annotazioni: la prima è che WIXIW, dal punto di vista musicale, è probabilmente il loro lavoro più accessibile; la seconda, che si notato numerosi rimandi al repertorio dei Radiohead, al punto in cui in un paio di brani vengono imitati con una spudoratezza quasi imbarazzante, che solo Angus Andrew e soci possono permettersi.

26 agosto 2012

UnDead Can Dance

Sedici anni di pausa non sono pochi, e come spesso ho sostenuto in queste mie paginette, bisogna che ci sia un buon motivo per tornare alla carica, soprattutto quando c'è a rischio una reputazione.

A differenza di altri nomi che si sono riformati per dare alle stampe nuovo materiale (Ultravox, PIL) i Dead Can Dance possono vantarsi di non essere mai usciti dalle grazie della critica. A parte qualche mugugno per l'ultimo Spiritchaser - al quale venivano imputati un calo di ispirazione ed un eccesso nelle ambizioni "world" - nessuno ha mai veramente messo in dubbio la qualità delle uscite della band.

E a differenza di tutte le "vecchie glorie" della loro generazione, i DCD possono vantare due carriere soliste degne di rispetto, e probabilmente economicamente soddisfacenti (anche se sospetto che la Gerrard abbia incassato molto più di Perry, non fosse altro che per pubblicità e colonne sonore...).

Insomma, questi due devono proprio aver sentito nostalgia del vecchio marchio, altrimenti perchè farlo?

Me lo chiedevo prima di ascoltare l'album e me lo chiedo ancora. Se ai tempi di Into The Labyrinth e del già citato Spiritchaser, si poteva pensare che l'inevitabile declino d'ispirazione e le oggettive difficoltà nell'imboccare strade nuove, avrebbero forse dovuto indurre il duo a staccare la spina al progetto - cosa che poi hanno effettivamente fatto - le stesse identiche cose si possono sostenere adesso. L'album è bello se preso in se', senza considerare la storia della band, ma presenta una formula stanca e non aggiunge alcun elemento che ne giustifichi l'esistenza. Mi aspettavo qualche nuova idea, qualche magia inaspettata, ma purtroppo nulla di tutto ciò. Anastasis è soltanto una riproposizione di schemi già noti e nulla più.

Non voglio dire con questo che ve ne sconsigli l'ascolto. Io l'ho acquistato e non me ne pento. Le due voci sono ancora un bel connubio, lo stile è ancora valido, la capacità di scrittura ancora solida. Ma il brivido che provai ai tempi di Serpent's Egg è decisamente lontano. Come pure è lontano il gusto che mi diedero gli arrangiamenti non scontati dell'ultimo album di Perry, che con tutte le sue problematiche, mi pare una prova superiore (quanto meno, in termini di coraggio) a quella generata da questa reunion.

9 agosto 2012

Oceania

Non mi sarei mai aspettato di appassionarmi alle vicende di Billy Corgan e dei suoi Smashing Pumpkins 2.0 (o 3.0 o qualsiasi numero si voglia).

È accaduto però che Zeitgeist (il lavoro scaturito dalla "reunion" del 2007), ascoltato quasi per caso, non mi fosse dispiaciuto, e quindi ho avuto una certa curiosità per questo nuovo Oceania.

I tempi in cui le zucche erano un'alternativa al grunge di Nirvana, Soundgarden e Pearl Jam sono passati da un pezzo, ed anche quel certo fascino di stampo adolescenziale che poteva avere la band negli anni '90 è evaporato completamente. Ormai si tratta meramente di un progetto guidato da un Billy Corgan di mezza età, il quale ha preferito mantenere sulle copertine il nome della sua vecchia band piuttosto che presentarsi come solista.

Lasciando stare ogni commento su quanto sia sensata la scelta di continuare ad usare il nome di una band che non esiste più (dopotutto il nome è suo, ci faccia quello che gli pare), mi pare interessante ossservare che in questi due album si trovano momenti più che rispettabili, non puramente nostalgici, autoreferenziali o ancora peggio pretestuosi. I nuovi Pumpkins sono autori di un rock piuttosto maturo, valido e ben suonato, a dispetto di quanti si ostinano a voler misurare Corgan su un eterno confronto con Siamese Dream o Mellon Collie - un album che tra l'altro, pur con i suoi indiscutibili meriti, non mancava di annoverare un buon numero di tracce riempitivo.

L'unico problema è costituito dal fatto che Corgan e i suoi sono adesso un fiume in piena. Anche tralasciando la vasta quantità di materiale affidato solo alla rete (per motivi di anzianità mi occupo solo di musica "fisica"), questo lavoro, come il precedente, consta di una scaletta lunga sia per quantità di brani che per durata dei medesimi. Inutile dunque sottolieare che questo è il principale difetto dell'operazione: mettendo in scaletta solo gli otto-nove brani migliori, si sarebbe sfiorato il capolavoro, siamo invece di fronte ad un album che a metà strada ha già iniziato a stancare.

Ahimè, ormai quasi nessuno resiste alla tentazione di riempire un CD di tutto quanto si riesce a farci stare, e ci è andata bene che non si sia pensato ad un doppio. Comunque, per chi ha voglia di farsi la propria scaletta, qui si troverà abbastanza di meritevole.

8 luglio 2012

Mark and the Envy

Alfiere in ambito musicale di una politicizzazione dura e pura sin dai tempi del Pop Group (chi altri può vantare un titolo come "For How Much Longer Do We Tolerate Mass Murder?"), Mark Stewart ci ha abituati anche nella carriera solista ad uno stile intransigente anche dal punto di vista sonoro, con album ricchi di sperimentazioni ai confini con l'industrial, e spesso deliberatamente ostici.

Questo album rappresenta dunque una svolta inaspettata in una direzione molto più accessibile, anche se non si assiste all'abbandono della personalità caratteristica di Stewart, il quale si guarda bene dal gettare a mare i propri stilemi: li ammorbidisce, semmai, aggiungendo elementi di maggiore fruibilità o evitando di scivolare nel rumorismo puro come aveva spesso fatto in passato.

The Politics Of Envy è ricco di collaborazioni più che illustri: Lee "Scratch" Parry, Daddy G, Bobby Gillespie, ma non sempre queste si traducono in un vero valore aggiunto (la performance di Daddy G è alquanto inudibile, ad esempio). Non è però questo il vero problema del disco, che oscilla tra alcuni momenti buoni (soprattutto in apertura e chiusura) e altri piuttosto opachi. Mi viene da pensare che nel tentativo di raggiungere un risultato più pop, il buon Mark si sia trovato su un terreno non suo, smarrendo qua e là la direzione.

In ogni caso, un disco non da buttare, anche grazie all'attivismo mai domo che traspare dai testi, i quali alzano di una spanna anche il giudizio più intransigente sulla qualità musicale di alcuni brani.

Nota a margine per il secondo CD allegato all'edizione "speciale": si tratta di cinque remix di brani dell'album, per lo più interessanti.

3 luglio 2012

L'Apnea degli O.Children

A due anni dal più che discreto debutto omonimo, gli O.Children si ripresentano con il nuovo lavoro Apnea. Ero molto curioso di sentire cosa avrebbero tirato fuori, considerati diversi fattori che vado a snocciolare per la vostra gioia.

Innanzi tutto, il filone nel quale sembra - almeno ad una analisi suoperficiale - collocarsi la band (i vari paladini del "neo-wave" Interpol, Editors, White Lies) sembra essere giunto ad una fase di stallo, e questo avrebbe potuto suggerire un cambio di registro alla band londinese.

Seconda questione, il primo disco presentava dei limiti stilistici che rischiavano di imbrigliare il collettivo in una classica trappola: "o rifacciamo un disco identico, o diventiamo un'altra cosa", dilemma dal quale di solito escono prodotti incerti e deludenti.

Infine, per qualche motivo quel primo album mi aveva irretito come solo i dischi genuinamente pop possono fare: avevo iniziato ad ascoltarlo compulsivamente, pur conscio che non fosse un'opera epocale. Si trattava di un disco ben scritto, certo, ed anche di una certa sostanza, ma confesso di aver avuto la classica sensazione di essere null'altro che il perfetto target di quel blend di reminiscenze gothic, elettronica a sprazzi, voce cavernosa e ritmiche quadrate, con l'aggiunta qua e là di elementi a sorpresa.

Prodotto tra una serie di difficoltà - il cantante Tobias O'Kandi ha rischiato di essere costretto a lasciare il Regno Unito per problemi di immigrazione - il secondo album sceglie una strada conservativa, mantenendo tutte le caratteristiche dell'esordio, ma riesce in qualche modo a suonare ancora fresco, come una ideale ma non scontata "parte 2".

Holy Wood apre molto bene le danze, e il disco snocciola via via brani un po' più oscuri alternati ad altri dalla melodia spiccatamente pop, pur arrangiati nelle sonorità più darkettone che hanno condannato gli O-Children, come decine di gruppi prima di loro, ad essere eternamente associata ai Joy Division. Tra le migliori potrei segnalare Red Like Fire, oppure Yours for You, ma sono pochi i momenti sotto tono. Se non li conoscete, provate a farvi assorbire dalla profonda voce baritonale del leader e fatemi sapere se anche voi sviluppate dipendenza.

1 luglio 2012

Jarmusch, il liuto e l'ingresso nell'eternità

Jozef Van Wissem è un liutista noto in ambiente classico per le sue composizioni in bilico tra minimalismo e improvvisazione, un virtuoso dello strumento ma anche un innovatore sensibile alla contemporaneità.

Jim Jarmusch è famoso soprattutto per essere il regista di film indipendenti di un certo successo come Daunbailò, Taxisti di Notte, Coffe & Cigarettes, Broken Flowers, opere cinematografiche nelle quali lambisce spesso il confine tra cinema e musica rock e jazz (tra i suoi attori ci sono stati John Lurie, Joe Strummer, Iggy Pop, Tom Waits, solo per citarne alcuni).

Ma cosa ci fanno due nomi così diversi affiancati sulla copertina di quest'album? Concerning The Entrance Into Eternity è un disco di lunghe composizioni per liuto e chitarra elettrica, una accoppiata inusuale e ancora più sorprendente quando si considera che Jarmush non ha mai inciso un album prima d'ora, pur essendo un appassionato di musica e un chitarrista per passione.

Il connubio tra i due musicisti è strano anche nei risultati, ma si fa apprezzare per l'originalità. Van Wissem è un musicista classico dall'esecuzione precisa, pulita, "classica", appunto. Jarmush è un chitarrista autodidatta con un approccio "sporco" allo strumento, poco controllato, istintivo, con un debole per le note lunghe e il feedback. Sembra insomma affascinato dalla natura elettrica dello strumento un po' come qualsiasi chitarrista in erba lo è stato davanti al prorpio primo amplificatore. Ne nasce un incontro-scontro tra due approcci completamente diversi, e tra due sonorità quasi inconciliabili, eppure sottilmente complementari.

L'album non è per tutti i palati, naturalmente, ed io mi ci sono avvicinato per la mia passione per il cinema di Jarmush. Non è neppure però inconcepibilmente sperimentale. L'effetto è quello di un minimal-ambient con spruzzate noise, molto rilassante e a tratti ipnotico. Provate a dare un ascolto e magari vi regalerà un'oretta di fuga dalla realtà niente male.

25 giugno 2012

The John McGeoch Story

 

Non c'è molto da aggiungere, ascoltatelo e godete.

24 giugno 2012

Wishful Remaster

Della ristampa di A Secret Wish vi avevo parlato un paio d'anni fa, vi rimando dunque a quella pagina per storia e considerazioni sui Propaganda e la loro storia con la ZTT.

Stavolta si parla invece di Wishful Thinking, il disco di versioni remix che venne pubblicato nel 1985, pochi mesi dopo l'uscita di quel primo e unico album della band.

Si trattava di un'operazione tipicamente "ZTT anni '80": l'album fu assemblato con cura meticolosa, e realizzato decostruendo, ricostruendo, remixando e ricompilando le canzoni del disco di inediti, dando vita insomma ad un'opera a se' stante. Non esattamente la stessa cosa che limitarsi a mettere in fila le versioni alternative già prodotte per i singoli a 7" e 12", come divenne prassi comune per i "remix album", moda passeggera ma gloriosa (uno degli ultimi avvistati fu negli anni '90 quello delle versioni dub di Protection dei Massive Attack) di cui d'altronde proprio questo è uno dei primissimi esempi.

Sebbene fosse andato incontro ad un fallimento comerciale, il disco è rimasto nel cuore dei fan della band di Claudia Brücken e Susanne Freytag, forse anche per la scarsità d'altro materiale. Non aveva però conosciuto fino ad ora alcuna particolare riedizione, se non l'abituale successione di ristampe in CD per la Island, la Universal, la Repertoire e la stessa ZTT.

Viene rispolverato solo adesso e riceve l'aggiunta di diverse bonus nell'ambito della Element Series della ZTT, che ha già visto ristampe ampliate degli stessi Propaganda, degli Art Of Noise, dei Frankie Goes To Hollywood.

L'operazione è un po' controversa. Il merito principale è quello di portare alla luce due versioni di p:Machinery con la chitarra di John McGeoch, registrata in uno degli infiniti esperimenti dell'etichetta ma mai aggiunta alle versioni date alle stampe all'epoca. Per il resto, il materiale addizionato è di non eccezionale interesse, e poco aggiunge di nuovo. Vero che il collezionista apprezza questo ed altro, ma fa un po' strano osservare che dopo la ristampa in 2 CD di A Secret Wish, e questa edizione ampliata di Wishful Thinking, non si sia ancora trovato posto per il 7" mix di Jewel!

Comunque, se non ce l'avete già in edizione normale, è l'occasione buona per portarlo a casa, considerata anche la saggia politica di prezzi bassi tenuta dall'etichetta per la Element Series. 

Disturbdances
1 Abuse 3:30    
2 Machined 6:54    
3 Laughed!8:54    
4 Loving 0:47    
5 Jewelled 7:44    
6 Loved 6:43    
7 Abuse 4:18    
8 Thought 2:38

Deviations
9 Strength To Dream (Outtake 04.02.84) 2:29    
10 p:Machinery (The Beta Wraparound) 10:47    
11 The Murder Of Love (Murderous Instrumental) 4:29    
12 Dr Mabuse (Outtake 24.04.85) 5:41    
13 Frozen Faces (A Secret Sense Of Rhythm) 5:09    
14 p:Machinery (The Voiceless Beta Wraparound Edit) 4:25

La nuova scelta dei Cult

Non sono mai stato un grandissimo fan della band di Ian Astbury e Billy Duffy. L'immagine, un po' sopra le righe, da rockettari ubriaconi e sfascia-hotel, e la svolta hard rock di metà anni '80, me ne avevano alienato le simpatie già all'epoca, preso da band dallo stile più duro e puro, e ne avevo pertanto perso le tracce rapidamente.

Ne ho soltanto dopo riscoperto gli inizi come Southern Death Cult prima, Death Cult poi, e i primissimi album a nome Cult (Dreamtime e Love), dei quali ho apprezzato in retrospettiva non solo le radici goth ma anche una certa freschezza compositiva, nonostante le evidenti radici nel rock-blues e qualche eccesso lirico da Doors "de' noantri".

A quel punto mi sono messo a scavare nella loro discografia e, come spesso mi capita, mi sono affezionato anche ai dischi peggiori. Che poi a mio modo di vedere, nel caso dei Cult, sono anche quelli più noti e che hanno venduto maggiormente: Electric e Sonic Temple, due monoliti prodotti (benissimo) da due nomi "sicuri" come Rick Rubin e Bob Rock, perfetti in ogni dettaglio, privi di sbavature, radiofonici e da stadio quel tanto che bastava insomma a rendermili poco digeribili.

Meglio la discografia successiva, che con tutti i suoi difetti gode se non altro del fascino maledetto del mancato successo: una serie di passi falsi da Ceremony (un album ispirato dai nativi americani e sommerso dall'ondata grunge che lo rese obsoleto già all'uscita), a The Cult (che come spesso capita agli album omonimi non era rappresentativo di alcuna delle anime del gruppo, e non convinse ne' i fan della prima ora ne' quelli della seconda), a - dopo 7 anni di stasi - Beyond Good And Evil, un disco iper-prodotto dal  ritrovato Bob Rock, impegnato a comprimere ogni singola nota delle tracce fino a farle praticamente esplodere dai diffusori.

Il successivo Born Into This, ancora 6 anni dopo, pur se presentato come il grande ritorno dei Cult, mi era sembrato invece una sorta di azzeramento, un tentativo di ripartire da capo senza star troppo a pensare a cosa si aspettasse il pubblico. Perchè era forse questo il peccato maggiore dei Cult da metà anni '80 in poi: come spesso accade alle band baciate da un successo insperato, si erano infilati in un pericoloso tunnel di lavori che, nel tentativo di occhieggiare al mercato, finivano per alienarsi le simpatie di tutti.

Dopo altri 5 anni ed un periodo in cui la band aveva annunciato di voler rinunciare al formato album, e di volersi concentrare sulla pubblicazione di singoli brani in formato digitale, esce ora questo Choice of Weapon, evidentemente un ulteriore ripensamento della propria strategia commerciale, visto che si tratta di un album dalla durata standard e presentato nel formato CD tradizionale oltre a quello digitale.

Pur non facendo gridare al capolavoro, il disco è una buona prova e alterna reminiscenze del periodo "goth" ad un hard rock più convenzionale, con un livello qualitativo generale più che buono, superiore certamente alll'album precedente. La band continua a non convincermi a livello di personalità, ma musicalmente si tratta di un buon lavoro che piacerà certamente ai vecchi fan e non deluderà l'ascoltatore occasionale in cerca di qualcosa che si situi tra il rock alternativo pàù intransigente ed un ascolto leggero di stampo più radiofonico.

8 giugno 2012

dEUS a sorpresa

Essendo uscito da soli 9 mesi l'ottimo Keep You Close, nessuno si aspettava che i dEUS potessero dare alla luce un nuovo album di inediti. Soprattutto parlando di una band che ha l'abitudine di attendere almeno 3 anni tra un disco e il successivo.

Tom Barman, leader del collettivo belga, ha però spiegato che l'uscita dipende dalla grande quantità di materiale pronto al momento di compilare Keep You Close, e dalla mutata strategia del gruppo, che ha preferito aggiungere qualche nuova composizione a quelle canzoni e darle in pasto al pubblico in un'impeto "di getto" piuttosto che lasciarle ammuffire in un cassetto per poi decidere tra due anni se fossero ancora attuali o meno.

Ecco dunque Following Sea, 10 canzoni che in parte tramandano lo spirito di Keep You Close, in parte ripiegano su un mood intimista e più incerto (mi viene in mente qua e là l'incostante Vantage Point), ma puntano soprattutto su un'atmosfera meno tesa e più svagata rispetto al predecessore, per quanto l'aggettivo "svagato" possa applicarsi ad una band come i dEUS.

Il paragone con Keep You Close è difficile e sarebbe ingeneroso: quello era un disco in stato di grazia, una combinazione di elementi alchemicamente efficacissima, insomma un monolito difficile da uguagliare. E infatti un effetto collaterale dell'operazione-bis è proprio, paradossalmente, di mettere questo nuovo album un po' al riparo da un certo tipo di critiche. Nessuno se lo aspettava, e dunque non c'era nessuna particolare aspettativa da rispettare: più che altro una curiosità del tipo "perchè l'hanno fatto?"

Colpisce però in modo estremamente positivo l'incredibile apertura di Quatre mains, brano frizzante, dinamico, divertente ed inquietante allo stesso tempo, nonché prima volta di Barman in francese su disco. Seguono Sirens e Hidden wounds, due di quelle canzoni che non dicono moltissimo al primo ascolto ma crescono ai passaggi successivi. Il contrario di Girls keep drinking, un brano molto ruffiano - quasi troppo - ma vivace ed efficace nel suo intelligent-pop basato su un testo molto divertente. Nothings è invece una splendida ballata dai toni stranianti, mentre la successiva The soft fall sembra quasi riportare alla mente gli episodi più psichedelici di Ideal Crash. Crazy about you è il solo vero passo falso, una canzoncina romantica molto radiofonica ma decisamente banale. Si tratta forse del punto più basso della scrittura della band, e mi viene da pensare che la sua inclusione dipenda da una svista, anche perchè rimuovendola non ci si sarebbe perso nulla. A partire da qui il disco però non perde un colpo: The give up Gene è un brano suadente e ben orchestrato che ci racconta il naufragio della Concordia da un punto di vista originale; Fire up the Google beast algorithm, con i suoi due minuti di energia e ritmo sghembo, potrebbe essere uno dei migliori brani del primo periodo della band; e infine la conclusiva One thing about waves è esente da classificazione: uno di quei brani per cui i dEUS sono i dEUS e voi non siete un cazzo. Oh, pardonnez-moi.