25 giugno 2012

The John McGeoch Story

 

Non c'è molto da aggiungere, ascoltatelo e godete.

24 giugno 2012

Wishful Remaster

Della ristampa di A Secret Wish vi avevo parlato un paio d'anni fa, vi rimando dunque a quella pagina per storia e considerazioni sui Propaganda e la loro storia con la ZTT.

Stavolta si parla invece di Wishful Thinking, il disco di versioni remix che venne pubblicato nel 1985, pochi mesi dopo l'uscita di quel primo e unico album della band.

Si trattava di un'operazione tipicamente "ZTT anni '80": l'album fu assemblato con cura meticolosa, e realizzato decostruendo, ricostruendo, remixando e ricompilando le canzoni del disco di inediti, dando vita insomma ad un'opera a se' stante. Non esattamente la stessa cosa che limitarsi a mettere in fila le versioni alternative già prodotte per i singoli a 7" e 12", come divenne prassi comune per i "remix album", moda passeggera ma gloriosa (uno degli ultimi avvistati fu negli anni '90 quello delle versioni dub di Protection dei Massive Attack) di cui d'altronde proprio questo è uno dei primissimi esempi.

Sebbene fosse andato incontro ad un fallimento comerciale, il disco è rimasto nel cuore dei fan della band di Claudia Brücken e Susanne Freytag, forse anche per la scarsità d'altro materiale. Non aveva però conosciuto fino ad ora alcuna particolare riedizione, se non l'abituale successione di ristampe in CD per la Island, la Universal, la Repertoire e la stessa ZTT.

Viene rispolverato solo adesso e riceve l'aggiunta di diverse bonus nell'ambito della Element Series della ZTT, che ha già visto ristampe ampliate degli stessi Propaganda, degli Art Of Noise, dei Frankie Goes To Hollywood.

L'operazione è un po' controversa. Il merito principale è quello di portare alla luce due versioni di p:Machinery con la chitarra di John McGeoch, registrata in uno degli infiniti esperimenti dell'etichetta ma mai aggiunta alle versioni date alle stampe all'epoca. Per il resto, il materiale addizionato è di non eccezionale interesse, e poco aggiunge di nuovo. Vero che il collezionista apprezza questo ed altro, ma fa un po' strano osservare che dopo la ristampa in 2 CD di A Secret Wish, e questa edizione ampliata di Wishful Thinking, non si sia ancora trovato posto per il 7" mix di Jewel!

Comunque, se non ce l'avete già in edizione normale, è l'occasione buona per portarlo a casa, considerata anche la saggia politica di prezzi bassi tenuta dall'etichetta per la Element Series. 

Disturbdances
1 Abuse 3:30    
2 Machined 6:54    
3 Laughed!8:54    
4 Loving 0:47    
5 Jewelled 7:44    
6 Loved 6:43    
7 Abuse 4:18    
8 Thought 2:38

Deviations
9 Strength To Dream (Outtake 04.02.84) 2:29    
10 p:Machinery (The Beta Wraparound) 10:47    
11 The Murder Of Love (Murderous Instrumental) 4:29    
12 Dr Mabuse (Outtake 24.04.85) 5:41    
13 Frozen Faces (A Secret Sense Of Rhythm) 5:09    
14 p:Machinery (The Voiceless Beta Wraparound Edit) 4:25

La nuova scelta dei Cult

Non sono mai stato un grandissimo fan della band di Ian Astbury e Billy Duffy. L'immagine, un po' sopra le righe, da rockettari ubriaconi e sfascia-hotel, e la svolta hard rock di metà anni '80, me ne avevano alienato le simpatie già all'epoca, preso da band dallo stile più duro e puro, e ne avevo pertanto perso le tracce rapidamente.

Ne ho soltanto dopo riscoperto gli inizi come Southern Death Cult prima, Death Cult poi, e i primissimi album a nome Cult (Dreamtime e Love), dei quali ho apprezzato in retrospettiva non solo le radici goth ma anche una certa freschezza compositiva, nonostante le evidenti radici nel rock-blues e qualche eccesso lirico da Doors "de' noantri".

A quel punto mi sono messo a scavare nella loro discografia e, come spesso mi capita, mi sono affezionato anche ai dischi peggiori. Che poi a mio modo di vedere, nel caso dei Cult, sono anche quelli più noti e che hanno venduto maggiormente: Electric e Sonic Temple, due monoliti prodotti (benissimo) da due nomi "sicuri" come Rick Rubin e Bob Rock, perfetti in ogni dettaglio, privi di sbavature, radiofonici e da stadio quel tanto che bastava insomma a rendermili poco digeribili.

Meglio la discografia successiva, che con tutti i suoi difetti gode se non altro del fascino maledetto del mancato successo: una serie di passi falsi da Ceremony (un album ispirato dai nativi americani e sommerso dall'ondata grunge che lo rese obsoleto già all'uscita), a The Cult (che come spesso capita agli album omonimi non era rappresentativo di alcuna delle anime del gruppo, e non convinse ne' i fan della prima ora ne' quelli della seconda), a - dopo 7 anni di stasi - Beyond Good And Evil, un disco iper-prodotto dal  ritrovato Bob Rock, impegnato a comprimere ogni singola nota delle tracce fino a farle praticamente esplodere dai diffusori.

Il successivo Born Into This, ancora 6 anni dopo, pur se presentato come il grande ritorno dei Cult, mi era sembrato invece una sorta di azzeramento, un tentativo di ripartire da capo senza star troppo a pensare a cosa si aspettasse il pubblico. Perchè era forse questo il peccato maggiore dei Cult da metà anni '80 in poi: come spesso accade alle band baciate da un successo insperato, si erano infilati in un pericoloso tunnel di lavori che, nel tentativo di occhieggiare al mercato, finivano per alienarsi le simpatie di tutti.

Dopo altri 5 anni ed un periodo in cui la band aveva annunciato di voler rinunciare al formato album, e di volersi concentrare sulla pubblicazione di singoli brani in formato digitale, esce ora questo Choice of Weapon, evidentemente un ulteriore ripensamento della propria strategia commerciale, visto che si tratta di un album dalla durata standard e presentato nel formato CD tradizionale oltre a quello digitale.

Pur non facendo gridare al capolavoro, il disco è una buona prova e alterna reminiscenze del periodo "goth" ad un hard rock più convenzionale, con un livello qualitativo generale più che buono, superiore certamente alll'album precedente. La band continua a non convincermi a livello di personalità, ma musicalmente si tratta di un buon lavoro che piacerà certamente ai vecchi fan e non deluderà l'ascoltatore occasionale in cerca di qualcosa che si situi tra il rock alternativo pàù intransigente ed un ascolto leggero di stampo più radiofonico.

8 giugno 2012

dEUS a sorpresa

Essendo uscito da soli 9 mesi l'ottimo Keep You Close, nessuno si aspettava che i dEUS potessero dare alla luce un nuovo album di inediti. Soprattutto parlando di una band che ha l'abitudine di attendere almeno 3 anni tra un disco e il successivo.

Tom Barman, leader del collettivo belga, ha però spiegato che l'uscita dipende dalla grande quantità di materiale pronto al momento di compilare Keep You Close, e dalla mutata strategia del gruppo, che ha preferito aggiungere qualche nuova composizione a quelle canzoni e darle in pasto al pubblico in un'impeto "di getto" piuttosto che lasciarle ammuffire in un cassetto per poi decidere tra due anni se fossero ancora attuali o meno.

Ecco dunque Following Sea, 10 canzoni che in parte tramandano lo spirito di Keep You Close, in parte ripiegano su un mood intimista e più incerto (mi viene in mente qua e là l'incostante Vantage Point), ma puntano soprattutto su un'atmosfera meno tesa e più svagata rispetto al predecessore, per quanto l'aggettivo "svagato" possa applicarsi ad una band come i dEUS.

Il paragone con Keep You Close è difficile e sarebbe ingeneroso: quello era un disco in stato di grazia, una combinazione di elementi alchemicamente efficacissima, insomma un monolito difficile da uguagliare. E infatti un effetto collaterale dell'operazione-bis è proprio, paradossalmente, di mettere questo nuovo album un po' al riparo da un certo tipo di critiche. Nessuno se lo aspettava, e dunque non c'era nessuna particolare aspettativa da rispettare: più che altro una curiosità del tipo "perchè l'hanno fatto?"

Colpisce però in modo estremamente positivo l'incredibile apertura di Quatre mains, brano frizzante, dinamico, divertente ed inquietante allo stesso tempo, nonché prima volta di Barman in francese su disco. Seguono Sirens e Hidden wounds, due di quelle canzoni che non dicono moltissimo al primo ascolto ma crescono ai passaggi successivi. Il contrario di Girls keep drinking, un brano molto ruffiano - quasi troppo - ma vivace ed efficace nel suo intelligent-pop basato su un testo molto divertente. Nothings è invece una splendida ballata dai toni stranianti, mentre la successiva The soft fall sembra quasi riportare alla mente gli episodi più psichedelici di Ideal Crash. Crazy about you è il solo vero passo falso, una canzoncina romantica molto radiofonica ma decisamente banale. Si tratta forse del punto più basso della scrittura della band, e mi viene da pensare che la sua inclusione dipenda da una svista, anche perchè rimuovendola non ci si sarebbe perso nulla. A partire da qui il disco però non perde un colpo: The give up Gene è un brano suadente e ben orchestrato che ci racconta il naufragio della Concordia da un punto di vista originale; Fire up the Google beast algorithm, con i suoi due minuti di energia e ritmo sghembo, potrebbe essere uno dei migliori brani del primo periodo della band; e infine la conclusiva One thing about waves è esente da classificazione: uno di quei brani per cui i dEUS sono i dEUS e voi non siete un cazzo. Oh, pardonnez-moi. 

3 giugno 2012

John Foxx and the Maths, è già tempo di bis

Il primo album di John Foxx and the Maths, uscito solamente un anno fa, era stato un botto inaspettato: lo descrivevo allora come un album molto energico, nella migliore tradizione sintetica inaugurata dallo stesso Foxx più di tre decadi fa, e capace di far battere il piedino anche a un cadavere, pur trasudando classe e sonorità raffinate (nonchè da veri intenditori del vintage) da tutti i pori.

Il duo (non fatevi ingannare dal nome: "The Maths" altri non è che il solo Ben Edwards, anche noto come Benge), in questo secondo volume The Shape of Things si ripropone in un mood molto più pacato, ricollocandosi a metà strada tra i brani meno tirati del primo disco e le creazioni in stile ambient che Foxx ha dato alla luce negli ultimi anni, da solo o in collaborazione con altri musicisti del calibro di Harold Budd e Robin Guthrie.

La scelta è un po' sorprendente, considerato che del primo album erano state soprattutto lodate l'energia e la vitalità (oltre al gran lavoro sulle sonorità in prevalenza analogiche). L'album per i miei gusti è comunque un po' troppo sbilanciato, e presenta cadute nel ritmo che lo rendono meno godibile del primo, pur restando di molto sopra la sufficienza e confermando Foxx come uno dei maestri indiscussi del genere.

L'album si compone di otto canzoni e sei brevi brani strumentali. Questi ultimi, pur apprezzabili di per se', spezzano la continuità del disco e lasciano poca traccia nella memoria dell'ascoltatore, perdendosi in una sorta di funzione di sottofondo poco significativo.

Le otto canzoni, quasi tutte dall'incedere piuttosto lento, sono il piatto forte, a partire dall'ottima Rear View Mirror, marziale ed epica, che come altre composizioni del disco si colloca in modo perfetto nella storia personale di Foxx, della quale richiama il primissimo periodo solista. La successiva Talk rallenta ulteriormente il rirmo e ci porta in ambienti minimali, con strati di synth e cascate noise. September Town è ancora molto "vecchio John Foxx", mentre risulta un po' anonima la successiva Unrecognized. Falling Away rivitalizza un po' la collezione con l'uso di sonorità distorte che squarciano il brano usl quale Foxx recita ieratico, mentre Invisible Ray presenta una voce pesantemente filtrata su un tappeto di synth quasi alla Dead Can Dance. Nota speciale per l'ottima Vapour Trails, un salto indietro allo stile del primo album degli Ultravox!, seguita da un gioellino old school come Tides. Chiude la collezione il capolavoro dell'album, The Shadow Of His Forme Self, un brano lento ma vitale ed energico che vale da solo l'ascolto di tutto il disco.

Due le edizioni disponibili: una aggiunge un secondo CD di remix del primo album; l'altra non ha il CD bonus ma sfoggia due tracce aggiuntive: un rimaneggiamento di Talk con ospite Matthew Dear, più oscura ed inquietante dell'originale, e l'inedito Where You And I Begin, con Tara Bush.